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Giovedì, 25 Aprile 2024
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A cura di Massimiliano Dona

Buoni pasto: come qualcuno vorrebbe cambiarli

In questa ultima settimana se ne è parlato tanto, sono i buoni pasto, molto più della semplice possibilità di un panino al bar. Oggi in Italia ne beneficia il 40% dei lavoratori che pranzano fuori casa per lavoro: insomma quasi 2,5 milioni di lavoratori utilizzano un buono pasto in uno dei 150 mila esercizi convenzionati che li accettano in tutta Italia (bar, tavole calde, paninoteche, etc.).

Il tema è tornato d’attualità grazie alla protesta degli esercenti, appunto, che hanno denunciato di essere la vittima sacrificale di una filiera che non funziona. Sul lato della Gdo è scesa in campo anche Federdistribuzione con una provocazione “basta, è ora di mettere i buoni pasto in busta paga”.

Forse è bene spiegare come funziona il meccanismo che porta nelle nostre mani un buono pasto: la Pubblica amministrazione (o le grandi aziende private) bandiscono delle gare per le società emettitrici di buoni pasto. Si tratta di appalti che tengono in grande considerazione la scontistica con la quale sono offerti i buoni pasto. Talvolta se le aggiudicano società che praticano ribassi persino superiori al 20%: insomma un buono del valore nominale di 10 euro può essere venduto per 8 euro.

A questo punto, però, vinta la gara, l’emettitore deve rientrare dello sconto praticato, così, nello stipulare una convezione con il singolo bar o tavola calda impone a sua volta varie commissioni (talvolta mascherate da servizi aggiuntivi)  per importi che superano il 15%. Ma non è finita qui perché l’esercente ha ancora la possibilità di scaricare a valle questo costo, impoverendo la qualità del servizio offerto al consumatore: così, in ultima analisi il rischio è che sia proprio quest’ultimo (quindi ciascuno di noi che utilizza i buoni pasto) a subire l’inefficienza della filiera.

Ecco perché l’Unione Nazionale Consumatori ritiene che sia venuto il momento di regolamentare in modo più equilibrato il settore (magari cogliendo l’occasione data dal necessario recepimento di alcune direttive europee che potrebbero aggiornare il Codice degli Appalti).

Certo, su come qualcuno vorrebbe cambiare i buoni pasto, dobbiamo fare attenzione: metterli in busta paga, ad esempio, non ci sembra una buona idea! A parte il rischio di vederli tassati, c'è un altro apsetto da non sottovalutare: oggi il buono pasto tradizionale rappresenta quella che gli economisti chiamerebbero “moneta di scopo” perchè va speso necessariamente nel comprare alimenti e dunque è la miglior leva che potremmo immaginare per favorire una ripresa della domanda interna e per favorire quella rete di bar, caffè e altri esercenti che rappresenta il non trascurabile indotto della filiera dei buoni pasto (per inciso, si tratta di imprese italiane che possono strutturarsi ed investire proprio grazie a quel flusso abituale di clientela).

Insomma se anche gli 80 euro del Presidente Renzi fossero stati elargiti in buoni pasto, forse avrebbero prodotto un risultato più tangibile nel rilanciare i consumi! Dunque adesso, nessuno tocchi il pranzo degli italiani (anche per ragioni di politica sanitaria e spesa sociale), piuttosto si metta mano alla guerra tra i players del settore per portare anche qui un po’ di (vera) concorrenza!

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