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Giovedì, 28 Marzo 2024
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A cura di Massimiliano Dona

Grande confusione sui negozi che vendono canapa: chi tutela i consumatori?

Spuntano come funghi, ma non vendono funghi. Mi riferisco alle migliaia di negozi che hanno recentemente aperto in tutta Italia e che vendono canapa. Già, perché negli ultimi cinque anni le coltivazioni di cannabis sativa su tutto il territorio nazionale sono decuplicate (dai 400 ettari del 2013 ai quasi 4000 stimati per il 2018).

Forse non tutti ricordano che fino agli anni 40 del novecento, la coltivazione di Canapa in Italia era molto diffusa (tanto che il Belpaese con quasi 100mila ettari era il secondo maggior produttore al mondo dietro soltanto all’Unione Sovietica), poi con l’industrializzazione e l’avvento delle fibre sintetiche questo genere di coltivazione fu abbandonato (in seguito anche per l’attività di contrasto alla diffusione degli stupefacenti).

Oggi in Italia la Canapa è tornata ad essere utilizzata per esperienze innovative, con produzioni che vanno dalle bioplastiche agli eco-mattoni isolanti, dall’olio antinfiammatorio ai formaggi, pasta, biscotti e cosmetici.

Ma facciamo un passo indietro: la svolta arriva con la legge numero 242 del 2 dicembre 2016 recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” che ha disciplinato il settore prevedendo che non sia più necessaria alcuna autorizzazione per la semina di varietà di canapa certificate con contenuto di Thc al massimo dello 0,2%, fatto salvo l’obbligo di conservare per almeno dodici mesi i cartellini delle sementi utilizzate.

Secondo la norma approvata la percentuale di principio attivo Thc nelle piante analizzate può avere una tolleranza fino allo 0,6% senza comportare alcun problema per l’agricoltore. Al momento risulta consentita solo la coltivazione delle varietà ammesse, l’uso industriale della biomassa, nonché la produzione per scopo ornamentale, mentre per la destinazione alimentare possono essere commercializzati oltre ai semi anche le altre componenti vegetali nel rispetto della disciplina di settore.

Di qui il boom di nuovi negozi che, per certi aspetti, ricorda molto quello dei negozi delle sigarette elettroniche. Ora però il quadro si complica visto il parere emesso a giugno 2018 dal Consiglio superiore di Sanità sulla cannabis light che rischia di determinare la chiusura dei negozi specializzati nella vendita della canapa. Il Css, infatti, dopo aver affermato che “non può essere esclusa la pericolosità della cannabis light”, è arrivato a chiedere esplicitamente misure atte a non consentire la libera vendita di tale prodotto, aprendo così un delicato fronte che vede coinvolti migliaia di esercizi commerciali. A questo punto il Ministero della salute dovrà mettere in campo le precauzioni richieste allo scopo di tutelare la salute pubblica.

Il punto è che serve chiarezza, tanto per gli imprenditori (coltivatori e negozianti che si sono lanciati in questa avventura), tanto per i consumatori che devono sapere cosa si può vendere e con quali avvertenze. La legge 242, infatti, riguarda la filiera agro-industriale della Canapa, ma nulla dice sui punti vendita.

Eppure, per la coltivazione e vendita di piante, fiori e semi a basso contenuto di principio psicotropo Thc si stima un giro d’affari potenziale di circa 50 milioni di euro grazie alla nuova regolamentazione, ma i consumatori devono essere informati e decidere in modo consapevole cosa acquistare. Ecco perché adesso la parola passa alle Istituzioni.

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