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Sabato, 20 Aprile 2024
Ve lo do io il Fashion!

Ve lo do io il Fashion!

A cura di Valentina Rainone

Moda etica

Perché non convertirci alla moda etica? Con la moda etica, prestiamo attenzione alla qualità dei materiali, al rispetto delle persone e dell’ambiente. Guardiamo ad esempio Coloriage, progetto basato a Roma, di laboratorio e boutique nato dall’incontro tra Valeria Kone, ex ricercatrice con esperienza nel settore, e il sarto senegalese Khassim Diagne. Particolarità dell’iniziativa è la scuola di sartoria gratuita, aperta a persone migranti, rifugiate e disoccupate. Gli allievi possono specializzarsi nel settore e conquistare l’indipendenza economica tramite un lavoro soddisfacente. Diagne, sarto esperto, si era interfacciato con Kone e con il fascino della cultura tessile artigianale del Mali. Obiettivo di Coloriage è diventare un punto di riferimento per i migranti che, giunti in Italia, hanno difficoltà a far valere le proprie qualifiche. E, allo stesso tempo, proporre una moda rispettosa dei lavoratori e dell’ambiente. Le stoffe del laboratorio provengono dal Mali, dal Senegal e dalla Costa d’Avorio. I capi di abbigliamento e gli accessori sono tutti prodotti in Italia dai sarti e dagli allievi della scuola. Tra i loro insegnanti, oltre a Diagne che tiene il corso di modellistica, ci sono designer provenienti da brand del lusso come Gucci e Bottega Veneta. C’è anche la storica del costume Clara Tosi Pamphili, docente dell’Accademia delle belle arti di Roma, che insegna storia della moda e progettazione. Dalla boutique escono kimono di taglio asiatico con coloratissime geometrie africane, complementi per la tavola con cotone wax, lavorato con la cera per mantenere la brillantezza. Un esempio di integrazione professionale e sociale, all’insegna di sostenibilità e solidarietà. Tra gli altri esempi di moda etica, citiamo Veja, brand ecosostenibile di sneakers, fondato nel 2004, che lavora con piccoli produttori dislocati in tutto il Brasile. Veja si batte per il rispetto dell’ambiente e dei diritti umani e produce alcuni modelli 100% vegani. E come non citare, a proposito di brand sostenibili, Stella McCartney, figlia d’arte e vegetariana da sempre, che lanciò il suo brand nel 2001 con l’intento di offrire capi di lusso prodotti senza derivati animali. Così creò il tessuto della IT bag Falabella, che sembra camoscio ma non lo è. Anche tutti gli altri capi e accessori della sua linea di moda ecosostenibile sono realizzati con fibre naturali e sintetiche. Stella McCartney è stata l’antesignana della moda sostenibile, trend ora seguito da tanti. Citiamo ancora Sep Jordan, la cui fondatrice, Roberta Ventura, offre lavoro a donne rifugiate. Roberta ha realizzato un atelier in un campo profughi in Giordania. Dalle mani di queste donne rifugiate nascono cappelli, borse, kefie. Sep jordan ha tra le ambassadors Bianca Balti e Miroslava Duma. Nel 2015 le ragazze coinvolte erano solo 20, oggi sono già ben 400. Si frequenta l’accademia per due mesi, poi, a seconda del livello di bravura, vengono commissionati loro vari disegni, la lavorazione del cashmere è solo per le più brave. Spesso la ricamatrice lavora da casa: in media ognuna ha sette bambini e non possono permettersi di venire ogni giorno al workshop, per cui lavorano in indipendenza. Ma quale è la differenza tra moda etica e moda sostenibile? Moda etica è quella che sceglie di dare importanza a chi è coinvolto ne processo di lavorazione del capo. Moda sostenibile è quella che cerca di avere il minore impatto ambientale. Dal punto di vista ambientale, i dati sono impressionanti! Considerate che il 20% circa dell’inquinamento delle acque mondiali è dovuto alla produzione dei vestiti. Anche se tutte noi amiamo fare shopping, non dimentichiamoci che la moda è la seconda industria più inquinante al mondo, così come spesso è degradante per le condizioni dei lavoratori. Cominciamo quindi ad apprezzare i brand che su questi aspetti fanno la differenza. 

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