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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città Palermo

"Falsificarono i dati Covid per evitare chiusure", assessore e dirigenti regionali a processo

Ruggero Razza, responsabile della Salute per la Regione Siciliana, ma anche l'ex dirigente del Dasoe, Maria Letizia Di Liberti, e l'ex direttore del Servizio 4 dello stesso dipartimento, Mario Palermo, hanno deciso di rinunciare all'udienza preliminare. Il giudizio inizierà a novembre

Hanno deciso di andare direttamente a processo, saltando l'udienza preliminare di questa mattina, e il gup Rosario Di Gioia ha quindi "accontentato" l'assessore alla Salute della Regione Siciliana, Ruggero Razza, l'ex dirigente del Dasoe (Dipartimento per le attività sanitarie e osservatorio epidemiologico), Maria Letizia Di Liberti, e l'ex direttore del Servizio 4 dello stesso dipartimento, Mario Palermo: con giudizio immediato, infatti, i tre saranno processati a partire dal 10 novembre dalla terza sezione del tribunale di Palermo per le presunte falsificazioni dei dati relativi al Covid per evitare chiusure e zone rosse.

Prosegue invece l'udienza preliminare per gli altri 3 imputati, ovvero il nipote di Di Liberti, Salvatore Cusimano, impiegato all'assessorato regionale all'Industria, Emilio Madonia (difeso dall'avvocato Enrico Sorgi), dipendente della società privata che gestiva l'elaborazione dei dati sul Covid, e Roberto Gambino, impiegato dell'Asp di Palermo in servizio al Dasoe. Nei due tronconi del processo (che quasi certamente saranno poi riuniti), la presidenza della Regione si è costituita parte civile.

"Contenimento matematico dell'epidemia nell'Isola", così avevano definito la presunta operazione messa in atto dagli imputati i carabinieri del Nas, coordinati dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dai sostituti Andrea Fusco e Maria Pia Ticino. Perché, secondo l'accusa, i dati sul Covid sarebbero stati falsificati al ribasso e, alla fine, la pandemia nell'Isola avrebbe finito per avere i contorni disegnati dal Dasoe (giocando su tamponi e ricoveri, aggiungendo numeri, sottraendoli, spostandoli o omettendoli) e non quelli reali. Le informazioni per stilare i bollettini sarebbero state raccolte con "telefonate frenetiche" dell'ex dirigente del Dasoe, che sollecitava le strutture sanitarie a comunicare i dati.

Nello scandalo era finito anche Razza (con ripercussioni politiche: si era prima dimesso e poi il presidente della Regione, Nello Musumeci, lo aveva riaccolto ndr), anche per la vicenda dei così detti "morti spalmati". Di Liberti, infatti, avrebbe cercato "far quadrare i conti" e in accordo con l'assessore che, a volte, si sarebbe mostrato "seccato", avrebbe alterato i dati relativi alla diffusione del virus, specie quando facevano avvicinare la Sicilia a chiusure e zone rosse. Proprio la contestazione legata ai decessi, però, era venuta meno perché il numero non aveva alcuna influenza per la classificazione del rischio.

Il 5 novembre del 2020 era Razza a dire a Di Liberti, dopo il passaggio dell'Isola in zona arancione: "Inutile Letizia che facciamo stare in piedi sacchi vuoti, c'è stata una gravissima sottovalutazione e il dato finale di questa gravissima sottovalutazione è scritto negli indicatori, poi secondo me sono sbagliati perché mettono sullo stesso piano indicazioni diverse, però come avrai visto ci sono dei dati dove noi comunichiamo zero! E chissà da quanto!". La donna, in un'altra intercettazione diceva: "I morti ce li teniamo sulla pancia", anche perché avrebbe avuto serie difficoltà a raccogliere le informazioni dalle varie strutture sanitarie sparse per l'Isola. 

Per la Procura in quel momento (nel 2020) sarebbe esistito "un disegno criminoso" da parte degli imputati e il 30 marzo dell'anno scorso erano scattati tre arresti, quelli di Di Liberti, Cusimano e Madonia. I capi d'imputazione, inizialmente definiti dalla Procura di Trapani, dov'era nata l'inchiesta, erano passati - una volta migrato il fascicolo a Palermo - già il mese successivo da 36 a 7 per gli arrestati. I tre, durante gli interrogatori si erano difesi sostenendo di essersi ritrovati a dover gestire un caos organizzativo in cui molte strutture sanitarie non avrebbero comunicato giornalmente le informazioni necessarie per caricarle sulla piattaforma nazionale. E, vista l'esigenza di stilare un bollettino quotidiano, si sarebbe quindi pensato di "correggere" (per usare le parole di Di Liberti, difesa dall'avvocato Fabrizio Biondo) i dati, tenendoli però sempre in linea con quelli dell'Istituto superiore di sanità.

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