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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Piacenza, spiate negli spogliatoi con la telecamera: chiesto un anno di reclusione

La vicenda era avvenuta nell'aprile del 2013, alla piscina comunale di Fiorenzuola. L'allenatore era stato denunciato e rinviato a giudizio. La sentenza è attesa per dicembre

Secondo l’accusa avrebbe ripreso con una videocamera alcune ragazze sotto la doccia, secondo la difesa non ci sarebbe, invece, alcune reato. Si è avviato alla conclusione il processo nei confronti di un uomo, accusato di interferenze illecite nella vita privata. Per lui, il pm Giulio Massara, ha chiesto la condanna a un anno di reclusione senza alcun beneficio di legge. La difesa ha chiesto al giudice Ivan Borasi, invece, l’assoluzione, e in subordine la riqualificazione del reato in violenza privata.

La vicenda era avvenuta nell’aprile del 2013, alla piscina comunale di Fiorenzuola. Verso le 15, una delle donne che avevano appena terminato l’allenamento si era accorta che dalla feritoia del locale doccia spuntava una mano che impugnava una videocamera. Allarmata, la ragazza si era diretta verso le due colleghe che si stavano lavando, avvertendole. Le ragazze si erano rivolte all’impiegata, la quale era andata nel locale adiacente le docce, un ripostiglio, trovando un borsone aperto nel quale si vedeva una videocamera. I responsabili della piscina avevano avvertito i carabinieri, i quali avevano trovato il borsone e la videocamera.

In caserma, i carabinieri avevano visionato il contenuto, trovando sì immagini di allenamento, ma anche di scene di ragazze nude sotto la doccia, risalenti anche a giorni prima. L’allenatore era stato denunciato e rinviato a giudizio. La sentenza è attesa per dicembre.

Una delle donne riprese si era costituita parte civile, con l’avvocato Emiliano Lommi. Secondo il legale, il reato è stato commesso e anche la convivente dell’allenatore ha ammesso che la borsa e la videocamera erano dell’uomo. E la borsa era stata riconosciuta anche da altri testimoni. Lommi ha chiesto un risarcimento di 20mila euro.

Articolata la difesa di Livera. Dopo aver sottolineato come in questo processo ci siano solo indizi, l’avvocato ha detto che come prova ci sono la telecamera e una mano «come quella della famiglia Addams». Il legale ha criticato l’attendibilità della teste, la convivente, poi ha sostenuto che la borsa era sì dell’allenatore, ma era stata lasciata in bella vista e aperta. Ma Livera ha contestato il reato, che non si sarebbe configurato. La Cassazione del luglio 2015 aveva sostenuto, in un caso analogo, che una ripresa nella doccia non è interferenza nella vita privata. La differenza la fa il domicilio, lì sì che sarebbe stato reato. Secondo il difensore, inoltre, si potrebbe accusare l’uomo di violenza privata, ma anche qui la Cassazione - trattando il caso di una videocamera sistemata nascosta in un bagno - aveva affermato che si sarebbe trattato del reato di molestie. Continua a leggere su Il Piacenza.it

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