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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città Palermo

Uccide la figlia dopo un gratta e vinci perdente

Condannata a tre anni Anna Cipresso, ex infermiera dell'ospedale Civico di Palermo

"Se non vinciamo alla lotteria ci ammazziamo". Avevano affidato la loro vita ad un gratta e vinci: se il tagliando fosse stato vincente avrebbero potuto risolvere i loro problemi economici, in caso contrario avevano deciso di ammazzarsi. Ma quel gratta e vinci era risultato perdente. E così Anna Cipresso, 67 anni, ex infermiera dell'ospedale Civico di Palermo, la sera del 19 luglio 2014 aveva ucciso la figlia Elisabetta con un mix di farmaci e tentato poi di suicidarsi con lo stesso metodo, senza però riuscirci.

Uccide la figlia dopo un gratta e vinci perdente: mamma condannata a Palermo

Come racconta PalermoToday, ora la donna è stata condannata a tre anni con il rito abbreviato per omicidio del consenziente (che prevede pene da 6 a 15 anni), ovvero per aver ammazzato la figlia che glielo chiedeva. Il gup Giuliano Castiglia ha accolto in buona parte le tesi della difesa dell'imputata, rappresentata dall'avvocato Antonio Cacioppo, ed ha pure riconosciuto alla donna la parziale incapacità di intendere e di volere al momento dei fatti. Il sostituto procuratore Renza Cescon aveva chiesto invece una condanna a sei anni di carcere.

La storia di Elisabetta e Anna Cipresso

Il corpo senza vita di Elisabetta Cipresso venne ritrovato in una stanza dell'Hotel Archirafi di via Lincoln a Palermo. La madre, sporca di sangue, avrebbe chiesto aiuto al personale dell'albergo. L'imputata venne fermata e poi rilasciata e fu proprio lei a raccontare agli inquirenti della disperazione in cui era sprofondata in quel periodo assieme alla vittima. Madre e figlia avevano peraltro già tentato il suicidio in passato, minacciando di dare fuoco all'abitazione dalla quale erano state sfrattate in via Ughetti.

Secondo il racconto di Anna Cipresso, quella sera con la figlia sarebbero arrivate nell'hotel e avevano comprato diversi biglietti della lotteria istantanea (nella stanza ne furono ritrovati a decine, assieme a numerose confezioni di farmaci). Nessuno dei tagliandi era però risultato vincente e, non vedendo vie d'uscita, le due donne avevano deciso di farla finita. La madre aveva spiegato che la figlia si sarebbe ammazzata da sola e che lei "per amore, per accompagnarla nel suo percorso, per non restare sola" aveva deciso a sua volta di suicidarsi.

La Procura non ha mai creduto a questa ricostruzione, ritenendo invece che fosse stata l'imputata ad iniettare del Propofol (un potente anestetico) alla figlia. Il farmaco ha infatti un effetto quasi immediato e sarebbe stato impossibile per la vittima iniettarsene una dose massiccia senza perdere prima i sensi. L'autopsia non aveva però fornito certezze sul punto. Sin dal primo momento, l'avvocato Cacioppo aveva sostenuto l'ipotesi di una "follia a due", ritenendo che Anna ed Elisabetta Cipresso non potessero essere lucide per compiere un gesto del genere. Una perizia ha effettivamente confermato che l'imputata non fosse pienamente in grado di intendere e di volere il 19 luglio di sei anni fa. Un dato che la Procura aveva chiesto di ignorare, ma che il giudice ha invece preso in considerazione.

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