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Sabato, 20 Aprile 2024
Città Palermo

Coltiva marijuana sul balcone, per i giudici non è reato: assolto

La decisione della Corte d'Appello ha ribaltato la sentenza di primo grado con cui l'imputato, affetto da una grave patologia, era stato condannato a 6 mesi di reclusione e 800 euro di multa. La droga sarebbe servita per uso personale

Sul suo balcone non coltivava gerani o erbe aromatiche, ma cannabis: i carabinieri, nel lontano luglio del 2016, gli trovarono infatti cinque piantine, alte tra i 30 ed i 50 centimetri. Una passione per il "giardinaggio" che era costata a M. D. F., residente a Palermo, una condanna a 6 mesi di reclusione e a 800 euro di multa, rimediata con il rito abbreviato davanti tribunale monocratico. Il giudice aveva concesso le attenuanti generiche all'imputato, ma aveva comunque ritenuto un reato la sua condotta. Adesso, invece, la prima sezione della Corte d'Appello, presieduta da Adriana Piras, ha deciso di ribaltare il verdetto e di assolvere "perché il fatto non sussiste" M. D. F., che peraltro faceva un uso personale della droga, anche perché affetto da una grave patologia.

Il collegio composto anche dai giudici Luisa Anna Cattina e Marcella Ferrara, che ha accolto le tesi dell'avvocato Antonio Tito, che difende l'imputato, ha ritenuto che viste le modestissime dimensioni della coltivazione e la minima offensività della condotta dell'imputato, il fatto sia penalmente irrilevante. La Procura generale aveva chiesto invece la conferma del verdetto di primo grado. Secondo l'accusa, infatti, da quelle cinque piantine si sarebbero potute ricavare 128 dosi.

La sentenza - che in 8 pagine rivede integralmente la precedente decisione, emessa dal tribunale l'11 luglio del 2018 - passa in rassegna buona parte della giurisprudenza sulla materia, analizzando provvedimenti delle Sezioni Unite della Cassazione, ma anche della Consulta ed evidenzia come "vi è una graduazione della risposta punitiva rispetto all'attività di coltivazione di piante stupefacenti nelle sue diverse accezioni".  Nel caso al centro del processo i giudici rilevano che "trattasi di coltivazione domestica priva del requisito dell'offensività in concreto, risultando integrati tutti i presupposti oggettivi cui fanno riferimento le Sezioni Unite per qualificare la coltivazione quale domestica e di minime dimensioni e dunque non definibile quale penalmente rilevante, posto che l'esclusione della punibilità opera sul piano della tipicità della fattispecie di reato".

"Risulta accertato - si legge ancora nella sentenza - che la coltivazione constava di sole cinque piante, alte rispettivamente 50 e 30 centimetri, fatto che attesta la 'minima dimensione della coltivazione e lo scarso numero di piante'; la stessa era realizzata su un balcone, dunque 'in forma domestica e non in forma industriale'; non vi è traccia dell'utilizzo da parte dell'imputato di materiale tecnico (quali costruzione di serre seppur rudimentali, utilizzo di lampade alogene, temporizzatore, deumidificatori, vaporizzatori spray, stimolanti ecc.), elemento che attesta lo svolgimento della coltivazione 'in forma domestica e non in forma industriale' e la 'rudimentalità delle tecniche utilizzate'".

Inoltre "appare evidente 'l'oggettiva destinazione di quanto prodotto all'uso personale esclusivo del coltivatore', avendo la coltivazione una potenziale produttività modestissima, che risulta insuscettibile di prefigurare 'un inserimento dell'attività nell'ambito del mercato degli stupefacenti'". Peraltro "l'esistenza di una coltivazione domestica è comprovata anche dalla documentazione medica da cui si evince che l'imputato è affetto da compressione midollare con paresi spastica". Per questo "deve concludersi che la coltivazione non era in grado di ulteriormente svilupparsi e di produrre ulteriore sostanza stupefacente, assumendo la connotazione tipica della condotta penalmente irrilevante e dotata di minima offensività". Da qui l'assoluzione dell'imputato "perché il fatto non sussiste".

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