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Giovedì, 18 Aprile 2024
Catania

Chiedono il pizzo a un imprenditore: arrestati moglie e figli di un ergastolano

Gli ordini arrivavano direttamente da Giovanni Rapisarda, esponente del clan Santapaola-Ercolano, in carcere per un omicidio avvenuto nel 1993. Dal 2012 la famiglia aveva estorto 1,7 milioni di euro tra contanti e non

I carabinieri di Catania hanno arrestato con l'accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso la moglie e i due figli di Giovanni Rapisarda, esponente di spicco del clan Santapaola-Ercolano, che al momento sta scontando l'ergastolo in carcere. I tre avrebbero messo nel mirino imprenditore del settore dell'estrazione e della lavorazione di pietra lavica che avrebbe pagato il 'pizzo' dal 2012, versando complessivamente 1,7 milioni di euro tra contanti, assegni, cambiali e mezzi d'opera.

Secondo gli investigatori, gli ordini alla famiglia sul denaro da riscuotere arrivavano direttamente dal carcere dove Giovanni Rapisarda, 64 anni, ergastolano, si trova detenuto per l'omicidio di un noto imprenditore catanese commesso nel 1993. In carcere sono stati condotti Santa Carmela Corso, di 61 anni, e Giuseppe Rapisarda, di 34, arrestati in flagranza dai carabinieri dopo che avevano ritirato una 'tangente' da 2.000 euro dalla vittima dell'estorsione, e Valerio Rapisarda, di 30 anni. Le indagini erano state avviate dopo che militari dell'Arma della compagnia di Paternò avevano notato diverse e frequenti visite dei due fratelli Rapisarda nella sede di una ditta di Belpasso dove sono state installate delle telecamere nascoste.

Nell'ordinanza della Procura di Catania vengono ricostruiti i fatti:  "La vittima dopo l'acquisizione di un ramo dell'azienda già di proprietà di altri componenti della famiglia Rapisarda, pur avendo già consegnato 700.000 euro negli ultimi 10 anni per crediti illecitamente vantati di 1.000.000 di euro, riceveva un'ulteriore richiesta estorsiva di 700.000 euro, dilazionati in cinque anni con il pagamento di una somma tra i 1.500 e 3.000 euro settimanali o, in alternativa, la cessione della ditta". In uno degli ultimi incontri con la vittima Giuseppe Rapisarda avrebbe spiegato all'imprenditore che doveva pagare perché la cava "era la nostra cosa" e che erano "dodici-tredici anni e dobbiamo chiudere sta partita" e ricordandogli che "mio padre il suo piacere è questo, perché qui era la cosa sua". 

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