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Giovedì, 25 Aprile 2024
Torino

Assolto dallo stupro perché "la ragazza ubriaca lo aveva indotto a osare lasciando la porta del bagno socchiusa"

In primo grado era stato condannato per aver stuprato una conoscente mentre questa era in bagno e sotto l'effetto di alcol

Condannato in primo grado per aver violentato la conoscente nel bagno di un locale. Lui è arrivato, le ha tirato giù i pantaloni e l’ha costretta ad un rapporto sessuale dopo che lei aveva bevuto. Ma per i giudici dell’Appello non è stupro perché la vittima, con il suo comportamento, avrebbe indotto l'imputato a "osare". Così a Torino una toga ha ribaltato la sentenza di primo grado con cui un giovane era stato condannato a due anni, due mesi e venti giorni di reclusione per un fatto avvenuto nel 2019.

I due si trovavano in un locale del centro del capoluogo piemontese quando lei è andata in bagno. Lei era ubriaca ma a processo ha sempre sostenuto: "Gli dissi chiaramente: non voglio”. Lui invece ha abusato di lei. Tuttavia, secondo i giudici di corte d’Appello  la ragazza "alterata per un uso smodato di alcol (...) provocò l'avvicinamento del giovane che la stava attendendo dietro la porta”. Non solo, lei avrebbe anche lasciato la porta aperta come invito. ”Si trattenne in bagno,  - si legge nella sentenza - senza chiudere la porta, così da fare insorgere nell’uomo l’idea che questa fosse l’occasione propizia che la giovane gli stesse offrendo. Occasione che non si fece sfuggire”. Ma allora come si spiega il fatto che la cerniera dei pantaloni della parte lesa si sia anche rotta? "Nulla può escludere che sull'esaltazione del momento, la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura” dicono i giudici che hanno assoluto l’imputato.

Una tesi contro cui andrà in Cassazione il sostituto procuratore generale che ha parlato di sentenza illogica “quando esclude la sussistenza del dissenso, sia perché tale dissenso risulta manifestato con parole e gesti, sia perché nessun comportamento precedente può aver indotto l’agente in errore sulla eventuale sussistenza di un presunto consenso". Dunque "non risulta provata la mancanza di dissenso da parte delle persona offesa, anzi risulta evidente la sussistenza di un dissenso manifesto".

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