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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Genova

Alice e Alberto: storia di un omicidio in casa

Il papà Graziano Scagni e la mamma Antonella Zarri annunciano una borsa di studio per agenti di polizia. Il sogno della figlia di diventare magistrato. La patente ritirata al fratello. Il mancato intervento di medici e forze dell'ordine

C'è stato un periodo in cui Alice Scagni, la giovane mamma uccisa a coltellate dal fratello Alberto a Genova il primo maggio 2022, sognava di diventare magistrato. Del suo sorriso contagioso, della sua dolcezza, della sua tragica fine a 34 anni, temuta e inutilmente denunciata dalla famiglia, resterà presto una borsa di studio destinata agli allievi agenti della scuola della polizia di Stato di Alessandria.

La vogliono istituire i genitori di Alice e Alberto, il papà Graziano, 70 anni, e la mamma, Antonella Zarri, 63 anni, che con il loro avvocato, Fabio Anselmo, sono ora impegnati in una dura battaglia legale: chiedono che, a distanza di mesi, siano finalmente identificati e indagati i dipendenti del servizio sanitario regionale e della questura di Genova che, secondo mamma e papà, hanno ignorato le loro disperate segnalazioni e la richiesta affinché il figlio Alberto, 42 anni, fosse fermato, sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio e curato. A inizio settembre hanno presentato una denuncia formale contro ignoti per rifiuto di atti d'ufficio. Mentre il 3 novembre è fissata l'udienza di incidente probatorio per le conclusioni dei periti sulle condizioni psichiche del fratello di Alice.

Uccisa dal fratello: gli ultimi audio

Graziano Scagni e Antonella Zarri nella loro casa a Genova (foto Fabrizio Gatti)

“Alcuni sindacati di polizia ci hanno offesi e feriti - raccontano a Today.it Graziano Scagni, ex direttore amministrativo in una scuola genovese, e Antonella Zarri, ex quadro direttivo nella storica banca della città, oggi in pensione -. Ci accusano di accanimento verso il corpo della polizia. Ma noi non abbiamo nulla contro la polizia. Noi cerchiamo la verità su quei dipendenti del centro di salute mentale e della volante che non hanno fatto nulla per impedire che nostro figlio Alberto, ormai in evidente stato di alterazione e aggressività, facesse del male. Abbiamo scelto la scuola di polizia piemontese perché le nostre famiglie sono originarie di Pozzol Groppo, in provincia di Alessandria. Vorremmo che la borsa di studio intitolata ad Alice servisse agli allievi di polizia a studiare meglio la psicologia, poiché è anche di questo che si devono occupare nel loro lavoro. Noi nelle istituzioni continuiamo a crederci”.

Il bracco che piaceva al fratello

La vita di Graziano e Antonella è stata distrutta tre volte: oltre che dalla morte violenta della propria figlia, dall'essere i genitori dell'autore di tanta violenza e, adesso, dallo strisciante sospetto di non avere fatto abbastanza per salvarli. Anche se, al termine del lungo colloquio che ci hanno concesso nella loro piccola casa di Sampierdarena, resta l'amara convinzione che abbiano davvero fatto tutto quanto qualunque famiglia avrebbe potuto fare.

Un uomo di oltre quarant'anni ormai in preda al delirio, come era il loro figlio Alberto, non è un bambino al quale imporre una medicina. Eppure, nonostante le richieste di aiuto, le telefonate al 112 e i precedenti, sono stati lasciati soli a gestire il loro dramma familiare. Fino alle diciassette coltellate sotto casa che poco prima delle nove di sera del primo maggio uccidono Alice, uscita per portare a passeggio il cane Ivy, una femmina di bracco di Weimar di tre anni. L'aveva scelto della stessa razza che piaceva tanto ad Alberto.

Alberto Scagni, a destra, con la sorella Alice da bambini al mare

Al volante in stato di ebbrezza

Il fratello doveva per forza essere stato segnalato nella banca dati della polizia. Gli era stata infatti ritirata la patente per guida in stato di ebrezza. E non era la prima volta che veniva trovato ubriaco al volante. Ma qualcuno avrebbe dovuto accedere allo Sdi, il sistema informatico interforze, per scoprirlo. E forse anche questo banale controllo è mancato. Poi c'è la denuncia circostanziata dei genitori a due agenti della volante quando il tardo pomeriggio del 30 aprile va a fuoco la porta di casa della nonna novantenne, che abita nello stesso palazzo di Alberto, accanto al suo appartamento. Arrivano due camion dei pompieri, l'automedica, l'ambulanza e una volante della polizia. Da quelle fiamme cominciano le ultime ventiquattro ore che avrebbero potuto salvare Alice.

Quel sabato pomeriggio la mamma non ha dubbi: è stato nostro figlio Alberto, dice ai due poliziotti che vanno a interrogarla a casa. E chiede che venga fermato al più presto. “Abbiamo paura di Alberto, non fateci fare la fine di Benno Neumair”, li supplica mentre li accompagna all'uscita, ricordando il ragazzo altoatesino che ha ucciso i genitori il 4 gennaio 2021 a Bolzano. “È proprio lì, nell'atrio, che un agente mi ha detto: signo', non facciamola tragica”, ricorda ora con gli occhi lucidi Antonella Zarri.

Il marito si era procurato un estintore

Subito dopo i due agenti vanno a casa di Alberto e gli suonano: “E Alberto risponde - rivela la mamma -. Ha detto: devo fare la doccia, non posso aprire. Sono le otto di sera di sabato 30 aprile, poco più di due ore dopo l'incendio della porta. La loro attività investigativa finisce lì. Se ne sono andati. Ma è possibile?”.

Il fuoco era stato appiccato con un cartone infilato sotto la fessura della porta, che avrebbe potuto estendere il rogo a tutto l'appartamento. La mattina dopo, l'ultima mattina di Alice mentre l'Italia celebra la Festa dei lavoratori, suo marito Gianluca Calzona, 35 anni, commercialista in un importante studio in città, prende così seriamente la minaccia che si procura un estintore. Ce lo racconta la mamma di Alice.

Di Alberto, Antonella Zarri conserva l'immagine di un uomo fuori di sé. Dopo l'incendio della porta, va sotto il palazzo dei genitori e aspetta che la mamma torni. Salgono in casa insieme. Lei per paura chiama un vicino, che lavora nella Croce Oro. “Alberto entra e mi dice: e allora i soldi? L'arrivo del vicino lo sorprende. Lo saluta gentilmente e se ne va”. È l'ultima volta che si vedono.

Alice Scagni il giorno del suo matrimonio

Il padre si improvvisa guardiano

Alberto, che per lo stato di salute ha perso il suo ultimo lavoro di impiegato nel 2013 e ora vive con il reddito di cittadinanza e l'aiuto della famiglia, secondo la testimonianza dei genitori chiede cifre spropositate. Ultimamente si era fissato con centoventimila euro. L'11 giugno 2020 fa bonificare da una ditta specializzata il suo appartamento convinto che lo spiassero. E, ovviamente, nella casa di Alberto non viene trovata nessuna microspia. “Aveva ormai perso ogni contatto con la realtà e, soprattutto, non aveva contezza delle conseguenze future di quello che faceva”, ammette il padre. Uno stato d'animo su cui la pandemia, i lockdown, l'isolamento sociale degli ultimi due anni hanno probabilmente influito.

Alberto abita in via Balbi Piovera. Mamma e papà in via Pascoli, a meno di cento metri, sempre nel cuore di Sampierdarena. Alice, da quando si è sposata il 3 febbraio 2018, è andata in via Fabrizi a mezz'ora di macchina. La notte del 30 aprile, quando la nonna è ancora in casa, Graziano Scagni ha il terrore che il figlio possa fare ancora del male alla suocera. Così passa la notte a montare la guardia nell'atrio di via Balbi Piovera, per fermare Alberto nel caso tentasse di appiccare il fuoco. Queste sono le sue parole.

“Mi metto nell'atrio tutta la notte per vedere cosa fa. Alberto esce dalla sua porta dieci minuti dopo la mezzanotte. Richiude, fa le scale ed esce dal portone. Rientra verso le due e un quarto. Torna in casa senza far nulla alla nonna. Ma dopo un po', mio figlio comincia a picchiare contro i muri con una mazza da baseball. Dà delle botte paurose. Ho ancora nelle orecchie il rumore. Picchia per un'ora. Esce alle tre. Rientra alle quattro. Risale le scale, va in casa. Silenzio”.

Le inutili chiamate al 112

È la notte di un padre disperato. La mattina a casa lui e la moglie decidono di richiamare la polizia per integrare la denuncia fatta ai due agenti il pomeriggio prima. “Chiamo la questura e mi faccio passare l'ufficio - continua Graziano Scagni -. È una telefonata di dodici minuti. Racconto tutto quello che è avvenuto nella notte per cercare di far capire che Alberto è pericoloso”. Ma è anche il primo maggio e non accade nulla.

All'una e un quarto del pomeriggio Alberto chiama il padre sul telefonino: “Mi insulta. Mi dice che se entro cinque minuti non trova i soldi sul suo conto mi avrebbe tagliato la gola e ci avrebbe ammazzati tutti”. Poco dopo, arriva la seconda chiamata al papà e i genitori riescono a registrare la voce delirante del figlio. Alberto annuncia chiaramente l'omicidio di Alice.

Una famiglia lasciata sola

“Telefono al 112 - racconta il papà -. Ero convinto che sarebbero arrivati subito i poliziotti. Ma mi rispondono che sarei dovuto andare il giorno dopo a fare denuncia in commissariato. Allora domando, per favore, di mandare una volante a vedere come sta Alberto. E anche di mandare una volante in via Fabrizi, perché Alberto ha minacciato Alice. A questo punto temevo anche per la nonna e sono corso a prenderla per portarla al sicuro nella nostra casa di campagna in provincia di Alessandria”.

Secondo la testimonianza dei genitori, però, ancora una volta non si muove nessuno. Alle sette di sera di domenica primo maggio, come racconterà un vicino di via Fabrizi, dove Alice e Gianluca vivono con il loro bimbo di un anno e mezzo e il cane Ivy, viene notato un uomo con felpa e occhiali da sole. A quell'ora della giornata, il vicino si ricorda soprattutto la stranezza degli occhiali da sole. Mamma e papà ora sono sicuri che l'uomo fosse Alberto. Se la volante fosse passata, l'avrebbero probabilmente visto e magari identificato e fermato. Ma quella sera nessuno sa che Alberto è già lì. Alice continua a scambiare messaggi allarmati con la mamma. La famiglia è completamente sola.

Grave come Van Gogh

C'è un altro momento in cui la storia potrebbe avere un lieto fine. Pochi giorni prima dell'omicidio, dal 24 al 26 aprile, dopo che Alberto aveva picchiato con la mazza e fatto un buco nella porta della nonna con il seguito di telefonate dei vicini alla polizia, Antonella e Graziano Scagni avevano chiesto a un istituto di vigilanza di inviare tre guardie giurate. Se le istituzioni non rispondevano, dovevano pensarci da soli.

Proprio in quei giorni di sorveglianza stretta, Alberto scrive al neurologo che ogni due anni gli rilasciava il certificato per il rinnovo della patente, prima della sospensione. Gli manda un'email, che come sempre mette in copia anche ad Alice e ai genitori, per chiedergli una dieta per l'epilessia. Il disturbo neurologico, che non c'entra nulla con quanto accadrà, gli era stato diagnosticato a otto anni e avrebbe dovuto curarlo con una terapia. Alberto non andrà a farsi visitare. Ma, di fronte a quel segnale di possibile apertura, con il neurologo vanno subito a parlare i genitori.

“Il neurologo – racconta la mamma – ci dice che Alberto ormai è irrimediabilmente perso, che è veramente malato dal punto di vista fisiologico e ormai la malattia andava affrontata dal punto di vista psichiatrico. È diventato come Van Gogh, sono state le sue testuali parole”.

Dal profilo Facebook di Alberto Scagni

Il riferimento al pittore olandese Vincent Van Gogh arriva in qualche modo al figlio. E il 28 aprile Alberto, sulla sua pagina Facebook, pubblica un post: “Fossi Van Gogh, negli ultimi cinque anni avrei dipinto questo” e incolla un'immagine di cromosomi. Il giorno prima posta una foto scattata a Giovanni Scattone durante il processo per l'omicidio di Marta Russo, la studentessa di 22 anni uccisa venticinque anni fa da un colpo di pistola all'interno dell'Università La Sapienza a Roma. E il giorno prima ancora, il 26 aprile, mette sul suo profilo la sua busta paga da impiegato del marzo 2010. Con due parole, cariche di nostalgia: “Bei ricordi”.

Tranquilli, sono un mastino

Alice, mamma e papà stanno intanto cercando di attivare il centro di salute mentale. Durante la primavera, di fronte al comportamento sempre più aggressivo, si sono rivolti a uno psicologo che, per la gravità delle condizioni, li indirizza a una psichiatra del servizio pubblico. La sorella e i genitori sono consapevoli che Alberto vada curato prima che faccia del male a qualcuno. La sua autoterapia a base di cannabis e vino lo sta rovinando. Il problema è che Alberto, nelle sue giornate di delirio, certamente non andrà a farsi visitare dalla psichiatra. E qui qualcos'altro si inceppa.

“Era il 22 aprile – racconta il papà -. La psichiatra ci aveva perfino tranquillizzati. Il caso ce l'ho io, tranquilli, ci ha detto, i miei colleghi mi chiamano mastino. Alice le fa notare che è difficile che Alberto vada a farsi vedere da lei. Le spieghiamo che forse serve un trattamento sanitario obbligatorio. E la dottoressa ci risponde così: qualunque cosa succeda, chiamate il 112, noi siamo allertati e subito arriviamo. Allora le abbiamo chiesto di noi: noi cosa dobbiamo fare? Il punto più debole è la nonna, ha risposto la dottoressa, voi siete in grado di badare a voi stessi, mettete in sicurezza la nonna”.

La psichiatra, secondo la testimonianza dei genitori, non fa nessun accenno all'Aso, l'accertamento sanitario obbligatorio che può essere richiesto da un medico nei confronti di qualsiasi persona per la quale ci sia il fondato sospetto di alterazioni psichiche da rendere urgente un intervento terapeutico. “La psichiatra ci ha detto che dovevamo rivolgerci prima al 112 – conferma la mamma di Alice – ed è esattamente quello che abbiamo fatto. Noi non siamo psichiatri né poliziotti. Cosa potevamo fare di più?”.

Ivy, il bracco di Weimar di Alice Scagni

Alberto voleva diventare scrittore

Graziano e Antonella, marito e moglie dal 19 luglio 1979, non hanno ancora avuto il coraggio di riaprire gli album con le foto di famiglia. Ma ricordano bene i sogni dei loro ragazzi. “Alberto sognava di diventare scrittore - rivela la mamma -. Scriveva molto anche adesso. Già da bambino leggeva tanto, durante l'estate, e ho scoperto che leggeva libri di nascosto. Ha fatto il liceo scientifico, era bravo in matematica. Poi però ha preferito andare a lavorare per sentirsi autonomo. Alice sì, c'è stato un periodo che voleva diventare magistrato. Era equilibrata, sapeva decidere. Ha fatto lo scientifico ovviamente, come Alberto, poi si è laureata in Giurisprudenza. Ha però preferito andare a lavorare nello studio di commercialisti dove, dieci anni fa, ha incontrato Gianluca e da lì hanno costruito la loro vita”.

Graziano Scagni è seduto su una sedia. Antonella Zarri sul divano. Accanto a lei, il cane Cilli, il loro lagotto. Sopra, alla parete, Alice, Alberto e il papà si abbracciano da una foto scattata nel 1995 in riva al lago d'Arpy in Valle d'Aosta, quando la vita era tutta un'autostrada davanti.

In questa stessa casa la notizia dell'omicidio è arrivata con una telefonata di Gianluca: “Mio genero ha detto poche parole: Alice non c'è più - ricorda Antonella Zarri -. Ho chiamato mio marito che era andato a portare al sicuro la nonna e sono corsa in via Fabrizi. Lì ho visto tutte le volanti in servizio a Genova. C'erano almeno quaranta poliziotti, ma ormai era troppo tardi per mia figlia. Ho gridato tutta la mia rabbia. Le hanno fatto un lungo massaggio cardiaco. Ma poi non volevano farcela vedere. Solo un poliziotto anziano ci ha dato il permesso, quando Alice era ancora adagiata per terra. Dodici secondi: mia figlia ho potuta vederla per l'ultima volta soltanto dodici secondi”.

Il brutto presentimento

Ivy era scappata. Il bracco l'hanno ritrovato davanti alla casa dei genitori di Gianluca. Quella sera Alice è uscita convinta che il fratello, che lei proteggeva con così tanto affetto, non le avrebbe mai fatto del male. Durante le sedute della perizia psichiatrica, ancora in corso in carcere, secondo quanto hanno saputo i genitori, Alberto ha detto che “Alice l'ha uccisa una parte di me”. Poi ha pianto.

“L'ultima volta che sono venuti a Pozzol Groppo con il bimbo, Alice ha voluto fare una foto con tutta la famiglia davanti al fior di pesco fiorito. Ci ha colpiti, perché non era il suo genere di foto - dice il papà sottovoce -. E l'ultima volta che l'ho vista, sono convinto che avesse un presentimento, sì. Perché mi ha salutato dalla macchina. Ma quella volta non mi ha sorriso”.

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