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Giovedì, 25 Aprile 2024
Catania

Non date colpa alla pioggia: l'alluvione figlia di cementificazione e mancate opere strutturali

Catania ha bisogno di un "modello Genova"? Da 20 anni la città attende il canale di gronda che avrebbe attenuato i danni del nubifragio che ha causato tre morti

Mentre negli occhi di tutti c'è il disastro dell'alluvione si rincorrono le dichiarazioni e i comunicati stampa sulla necessità di attuare "misure risolutive per contrastare i cambiamenti climatici". Parole che tornano, puntualmente, dopo ogni tragedia che vive questo territorio. Le abbiamo lette e sentite circa 3 mesi fa quando Catania è stata soffocata dalla morsa degli incendi, apice di un'estate incredibilmente torrida. Le fiamme hanno distrutto l'Oasi del Simeto, aziende agricole, lidi balneari, case. Hanno lambito parti della città e, soltanto per un miracolo, non ci sono state vittime ma i danni economici e ambientali sono ingentissimi.

Dopo le settimane dell'emergenza tutto è "rientrato" nella normalità, tra il baillame e le polemiche sui vaccini e qualche protesta contro il green pass. Ci siamo risvegliati (tutti: cittadini, politici, giornalisti) soltanto quando la nuova tragedia ambientale si è consumata e stavolta con proporzioni ancora più devastanti di quella di tre mesi fa. Tre morti accertati, migliaia di aziende in ginocchio, cittadini con le case allagate, agricoltura devastata. Un bollettino di guerra che rischia di gonfiarsi ancora nel tragico conteggio dei danni poiché il maltempo è destinato a perdurare nelle prossime ore. A fare chiarezza sulle cause della devastante alluvione del catanese sono stati gli geologi che con una nota di Fabio Tortorici, appartenente al consiglio nazionale della categoria, hanno evidenziato come la tragedia sia figlia della cementificazione dell'area pedemontana.

Le colate di cemento ai piedi dell'Etna 

Se dove, in una zona d'altura, ove vi era un tempo la foresta l'uomo ha gettato cemento è chiaro che l'acqua "scivolerà" verso valle. Sembra un'ovvietà ma è ciò che è accaduto nell'area pedemontana sud orientale etnea: la cementificazione ha alterato il territorio. L'espansione della provincia, la fuga da Catania verso le città e i paesi della provincia, "l'arrampicarsi" sempre più verso il vulcano non hanno fatto altro che stravolgere l'equilibrio del territorio e quindi il flusso di acqua che si riversa verso il capoluogo è ingente, con l'aggravante che non sono state realizzate opere adeguate per il convogliamento e lo smaltimento delle acque bianche.

"Il capoluogo etneo ancora si allarga - dice il geologo Fabio Tortorici - essendo sprovvisto di un canale di gronda, pronto solo sulla carta. La mano dell'uomo ha spesso avuto un ruolo predominante su alcune scelte errate dello sviluppo urbanistico". Scelte che hanno visto Catania annaspare in avanti a colpi di abusi edilizi, di cementificazione selvaggia senza un piano regolatore aggiornato, senza una idea di sviluppo, senza tenere in considerazione l'ambiente. Perché piazza Borsellino si è allagata? Perché quella parte di città si è sviluppata sul corso del fiume Amenano che rappresentava una linea naturale di impluvio, come dicono gli stessi geologi, è stata tombata e su di essa sono state realizzate abitazioni. 

"Questo corso d'acqua, l'Amenano, - prosegue Tortorici - alimentava il lago di Nicito in parte ricoperto dalla colata lavica che raggiunse Catania nel 1669 e in parte è stato obliterato dalla trasformazione urbanistica con la costruzione di palazzi. Non è quindi un caso se le aree in cui scorreva l'Amenano (la pescheria, piazza Alcalà, piazza San Francesco, villa Pacini) sono state invase dal ruscellamento delle acque che si sono riappropriate del loro originario percorso".

Il canale di gronda e il modello Genova

Seppur l'amministrazione comunale avesse iniziato già alla fine dell'estate con la pulizia dei tombini - molti ostruiti dalla cenere - ciò non è bastato. Non sarebbe bastato comunque: in poche ore è caduta su Catania la quantità che si riversa in un anno. Un evento eccezionale ma che potrebbe cronicizzarsi. Già in passato la città ha subito pesantemente, specie nella zona sud, gli effetti delle bombe d'acqua e ha anche pianto vite umane. Un'opera attesa, con il consueto andamento lento italiano, è il canale di gronda o collettore "b". Avrebbe potuto almeno attenuare i danni subiti. Da vent'anni si aspetta il suo completamento per lenire il dissesto idrogeologico con fondi stanziati per 48 milioni di euro: si tratta di due grandi "gallerie" che dovrebbero convogliare le acque provenienti dall'area pedemontana e quindi dai vari Comuni. Il progetto pare che sia bloccato perché è cambiata una legge: serviva il progetto esecutivo e non più quello definitivo. Quindi altri soldi, altre attese: il canale di gronda attualmente copre il territorio catanese e si attende che gli altri Comuni realizzino le opere per il collegamento.

In un momento emergenziale ci si chiede perché dopo la tragedia del crollo del ponte Morandi di Genova vi siano state leggi speciali, in grado di "saltare" i lacci e lacciuoli della burocrazia, per ricostruire l'opera in poco meno di un anno e come- nel caso di Catania - si attenda da oltre vent'anni un'opera fondamentale per la canalizzazione delle acque. Vent'anni tra rallentamenti, intoppi burocratici, riformulazioni dei progetti. Perché le istituzioni locali, i deputati regionali e i parlamentari catanesi non chiedono l'applicazione di un modello Genova? Accanto al canale di gronda - che da solo non può bastare - occorrono politiche di tutela dell'ambiente, di riforestazione, di progettazione che siano all'avanguardia perché la natura ha presentato il conto dinanzi alle scelte scellerate compiute nell'ultimo mezzo secolo.

In Giappone, nazionale flaggelata dalle intemperie naturali e dai terremoti, vi sono politiche avanzatissime nella gestione dei rischi. Basti pensare all'esempio di Tokyo che ha, nel suo sottosuolo, un sistema di gallerie per convogliare le acque meteoriche, una sorta di "cattedrale delle alluvioni", nascosta a 22 metri di profondità. Si tratta di un sistema di gallerie di 6 chilometri di lunghezza composto da imponenti camere cilindriche che proteggono il nord di Tokyo dalle inondazioni dopo 13 anni di lavori titanici. La progettazione dei sistemi di protezione dalle inondazioni iniziò, neanche a dirlo, dopo una tragedia immane nel 1947 con la morte di un migliaio di persone a seguito di un nubifragio. Da quel momento il governo nazionale nipponico investì circa il 7% del bilancio nazionale per la riduzione del rischio e la realizzazione di opere. Da noi si investe ma non si costruisce, si stanziano fondi che poi per un motivo o per l'altro non vengono utilizzati e quindi le opere rimangono cattedrali nel deserto.

Opere che in Giappone, collegate a una politica edilizia rispettosa delle caratteristiche dell'ambiente, hanno permesso di evitare tragedie. Adesso Catania ha dinanzi a sé una sfida per i prossimi anni che saranno caratterizzati da estati torride - e quindi da incendi potenzialmente devastanti - e da stagioni autunnali contraddistinte da uragani e bombe d'acqua. La sfida di una politica nazionale e locale che non deve guardare all'immediato ma deve pianificare il futuro. Così come occorre pianificare sin da adesso gli accorgimenti per contrastare gli incendi. Un esempio? Si era detto di installare delle bocche d'acqua lungo il viale Kennedy per intervenire celermente in caso di incendi. Quando verranno realizzate?

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