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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Claudia, torturata dai militari: storie di persone in pericolo

Con la presidenza italiana dell'Ue, Amnesty si appella al governo per ricordare come l'Europa da sempre promuova il rispetto dei diritti umani. Undici storie di persone in pericolo, che potrebbero essere salvate con un intervento del governo. La storia di Claudia, torturata dai militari

Claudia non dimenticherà facilmente il 7 agosto 2012: alle 3:00 di mattina alcuni soldati della marina militare fanno irruzione in casa sua, a Veracuz. Le legano le mani e la bendano, poi la fanno salire su un furgone e la portano in una vicina base navale. L'accusa è quella di far parte di una violenta banda criminale.

Qui Claudia racconta di aver subito scosse elettriche, di essere stata picchiata e lasciata sotto il sole legata a una sedia. Il giorno dopo viene di nuovo bendata e portata insieme ad altri detenuti nel più vicino ufficio del procuratore federale. Quando le tolgono le bende si rende conto che anche il marito e il cognato sono stati arrestati con lei. Viene interrogata e obbligata a firmare una confessione senza leggerne il contenuto. Poco dopo lei e gli altri detenuti vengono presentati durante una conferenza stampa come i componenti di quella pericolosa banda criminale.


IL PROCESSO - Il 13 agosto inizia il processo e Claudia ritratta la confessione e racconta delle violenze e delle torture subite. Tutte le accuse nei suoi confronti si rivelano infondate a parte la detenzione illegale di armi. Il giudice federale ha avviato un'indagine sul caso basato sulla sua testimonianza.

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Ma non è stata fatta nessuna valutazione medica. Così Claudia si è rivolta ad Amnesty e insieme ai suoi legali nel 2013 è stata visitata. L'anno dopo la valutazione ha confermato che la sua testimonianza era coerente con le conseguenze fisiche e psicologiche di chi ha subìto tortura. Questi esami sono molto invasivi e hanno messo Claudia a dura prova, facendole rivivere il trauma. Amnesty International ha detto di aver già attestato "la tendenza da parte del servizio forense del procuratore generale a documentare prove e a concludere che non vi è alcuna prova fisica o psicologica per corroborare l'accusa di tortura o addirittura che l'assenza di prove dimostra l'assenza di tortura, questo approccio può seriamente minare la possibilità di ottenere giustizia da parte delle vittime".

La battaglia di Claudia Medina Tamariz non è personale e a spiegarlo è lei stessa:

Io non sono l’unica, ci sono migliaia di donne che subiscono quello che ho passato io. Per questo ho deciso di denunciare, non voglio essere l’ennesima donna che rimane in silenzio per paura. Chiedo ad Amnesty International di accompagnarmi in questa battaglia. Io voglio giustizia.

COSA FARE - Amnesty International ha supportato Claudia sin dall'inizio della sua battaglia contro la tortura in Messico, tanto da farla diventare parte della campagna internazionale #stoptorture. Così sul sito dell'ong è possibile firmare un appello per fare pressione sul procuratore federale che segue il caso chiedendo un'indagine efficace e degli esami medici coerenti, chiarendo sei i fatti e l'inchiesta siano conformi alle norme stabilite dal protocollo di Istanbul dell'Onu.

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