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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

Italiani a mano armata: licenze "facili", dati opachi e norme da rivedere (in fretta)

Quante armi circolano nel nostro Paese? Quali sono i controlli sui possessori di licenze? E si può parlare anche in Italia di "lobby delle armi"? Intervista di Today.it a Giorgio Beretta

La legislazione italiana sul possesso di armi è sostanzialmente permissiva rispetto a quella di altri paesi europei?

Non è possibile passare in rassegna tutti i paesi europei, ma in linea generale va evidenziata una chiara incoerenza nella normativa italiana. Nonostante, come ha recentemente ribadito il Consiglio di Stato, nel nostro ordinamento l’autorizzazione alla detenzione di armi sia da considerarsi eccezionale, la normativa che la regolamenta è invece sostanzialmente permissiva. Oggi, infatti, a qualunque cittadino maggiorenne e incensurato, esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicomane che dimostri di saper maneggiare le armi viene rilasciata, su richiesta alle questure, la licenza per detenere armi, cioè il nulla osta, la licenza per uso venatorio o per uso sportivo. Queste licenze hanno una validità di sei anni e – come ho già detto – permettono di detenere un ampio numero di armi comuni e sportive e finanche un numero illimitato di fucili da caccia e relative munizioni. In tempi di rancore dilagante, di manifestazioni xenofobe e razziste e di pulsioni nazifasciste, per non parlare dei costanti fenomeni di violenza in ambito familiare e della crescente tendenza a farsi giustizia da soli, ritengo che le norme sulla detenzione di armi dovrebbero essere ampiamente riviste e rese più rigorose e restrittive e soprattutto che debbano essere introdotti controlli costanti sui legali detentori di armi. Al riguardo, diverse indicazioni si possono trovare in una nota rilasciata dall’Osservatorio OPAL già l’anno scorso.

Esiste in Italia, in scala minore, una lobby delle armi paragonabile alla famosa National Rifle Association (Nra) degli Stati Uniti?

Sì, in scala minore, ma già c’è. E’ una lobby nata qualche anno fa, su impulso di alcuni gruppi di sedicenti “appassionati di armi”, per contrastare l’introduzione a livello europeo di norme comuni più rigorose sull’accesso e la detenzione di armi. Questa lobby, usando gli stessi metodi di propaganda, anche di tipo denigratorio, impiegati dalla NRA è cresciuta presentandosi come paladina della difesa dei “diritti” dei legali detentori di armi. La loro reale intenzione è quella di introdurre nell’ordinamento nazionale, ma anche europeo, un fantomatico “diritto alle armi”: il possesso di armi viene infatti presentato da questi gruppi come “diritto” e costituirebbe una panacea ai problemi della sicurezza a seguito dell’immigrazione incontrollata e di altri fenomeni di piccola criminalità. E’ evidente la relazione tra queste istanze e quelle promosse in Italia da fazioni e gruppi, anche politici, che cavalcano l’ondata xenofoba e razzista. Non a caso i principali interlocutori politici di questa lobby sono alcuni partiti della destra a cominciare dalla Lega, il cui segretario, Matteo Salvini, ha sottoscritto un impegno con un Comitato nazionale, sostenuto dai maggiori produttori di armi italiani, appunto per “difendere i diritti” dei detentori di armi e rivedere le norme sulla legittima difesa.

La produzione di armi rappresenta una parte rilevante della nostra industria e diverse aziende del settore sono riconosciute a livello internazionale come delle eccellenze del “made in Italy”? Cosa ne pensa?

E’ vero che la produzione di armi, in particolare quella di tipo sportivo, venatorio e da difesa personale, è una realtà consolidata soprattutto in alcuni distretti manifatturieri come la Val Trompia nel bresciano. Ma è altrettanto vero che – a detta delle stesse aziende – la gran parte delle armi prodotte è destinata all’estero soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in alcuni paesi europei. Ma non va dimenticato che quasi un quarto dell’esportazione di armi di tipo comune e ancor più quelle di tipo militare è destinata alle forze armate di regimi repressivi, agli apparati di sicurezza di autocrati e di governi illiberali, a compagnie di sicurezza private che operano, non si sa con quali metodi, in zone di forte conflittualità e di guerra. Due esempi: le oltre 11mila armi che nel 2009 furono inviate a Gheddafi sono state tutte saccheggiate dagli insorti in Libia e nessuno sa dove siano finite e quali fazioni, comprese quelle terroristiche, ne stiano facendo uso. E cosa dire delle oltre 30mila pistole inviate agli apparati di sicurezza di Al Sisi in Egitto? L’esportazione di armi, comuni e militari, a regimi autocratici e a paesi in conflitto non risponde affatto ad esigenze di sicurezza comune, ma a logiche di mercato e finisce per sostenere vere e proprie dittature e per alimentare tensioni le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Non so proprio chi possa sentirsi orgoglioso di questa “eccellenza”.

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