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Sabato, 20 Aprile 2024
Migranti

Il blocco navale è propaganda purissima

Fratelli d'Italia ciclicamente torna all'attacco: "L'unica strada da percorrere per contrastare l'immigrazione illegale di massa è quella da sempre indicata da Giorgia Meloni: il blocco navale". Ma l'ipotesi, oltre che disumana, è illegale e impraticabile. Ecco perché

"Più di 10.000 arrivi illegali via mare negli ultimi quattro mesi. Il triplo degli sbarchi del 2020 quando governavano Pd e il M5S. Il governo Draghi è riuscito a fare addirittura peggio di quello immigrazionista del Conte 2. Nessuna giustificazione, visto che la maggior parte dei clandestini provengono da Stati nei quali non c'è nessuna guerra o emergenza, come Tunisia,  Costa d'Avorio, Bangladesh. Questi dati inaccettabili confermano che l'unica strada da percorrere per contrastare l'immigrazione illegale di massa è quella da sempre indicata da Fratelli d'Italia e Giorgia Meloni: il blocco navale attuato in accordo con le autorità del Nord Africa. Per ripristinare la legalità e fermare le morti in mare" afferma oggi il senatore di Fratelli d'Italia Giovanbattista Fazzolari.

Parole lontane dalla realtà. Chi conosce davvero il mare e le sue leggi scritte e non scritte sa che la situazione è ben diversa. Il blocco navale resta il cavallo di battaglia della campagna anti-immigrazione di parte della destra italiana. Schierare le navi della Marina militare a presidio dei porti italiani non è una prospettiva praticabile. Il Codice dell’ordinamento militare prevede espressamente che la Marina svolga vigilanza "al di là del limite esterno del mare territoriale". In alcuni casi può integrare il ruolo della Guardia Costiera, ma solo "in base alle direttive emanate d’intesa fra la Difesa e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti".

Il blocco navale non è un'ipotesi praticabile

L'ex ministro della Difesa Trenta quando - prima della fine del governo gialloverde - qualcuno aveva ventilato l'ipotesi blocco navale (c'era Salvini al Viminale), aveva detto di non essere contraria a inviare navi militari nel Mediterraneo in una nuova missione contro gli scafisti, ma parve chiaramente impossibile fare previsioni sulla reale fattibilità. Il punto è il seguente: davvero manovre di navi militari possono convincere barchini di piccole dimensioni usati dai migranti a restare lontani dalle acque territoriali italiane? A Roma si fanno le direttive, ma poi in mare sono gli uomini e le donne della Guardia Costiera a dover eventualmente eseguire. E sanno benissimo che ogni salvataggio è diverso dall'altro. Inoltre in acque internazionali una nave della Marina sarebbe obbligata a compiere il salvataggio se mai venisse coinvolta. Ipotizzare che marinai - dovrebbero essere impiegate decine di mezzi della Marina Militare - si mettano a pattugliare uno specchio d'acqua per fermare a una singola imbarcazione è una fantasia che tale resterà probabilmente. Ma proseguiamo.

In mare il salvataggio è questione di umanità

Anche all'epoca di Mare Nostrum si ipotizzò di bloccare i flussi. Non si fece mai. Davanti a un gommone carico di migranti in difficoltà o a persone in mare, il salvataggio è questione di umanità. "Non si possono mettere muri in mare" ha detto più volte il senatore Gregorio De Falco, ex-m5s ora al Gruppo Misto. Un comandante di una nave in mare ha come obbligo - nave civile, militare, mercantile... - di effettuare il soccorso. L'idea del blocco navale creerebbe situazioni di grande complessità e problematicità in mare, con la presenza di navi militari di stazza superiore a quella delle motovedette della Guardia Costiera o della Finanza che potrebbe costituire un pericolo per l'incolumità di tutti i soggetti presenti. Giova ricordare che i respingimenti, sono vietati dalla CEDU e della Convenzioni internazionali. Ogni governo può legittimamente - ovviamente -  pianificare la politica dell’immigrazione e l’impiego dei mezzi per il contrasto ai flussi di irregolari: ma un eventuale blocco navale (quindi ricorrendo allo strumento militare) non può non prevedere un passaggio anche con gli uffici del Quirinale visto che il presidente della Repubblica è il capo supremo delle Forze armate.

Il blocco navale è un’azione militare finalizzata a impedire l’accesso e l’uscita di navi militari e mercantili dai porti di un Paese. È regolato dal diritto internazionale, in particolare dall’articolo 42 dello statuto delle Nazioni Unite. Un ipotetico blocco navale comporterebbe poi secondo le norme vigenti che tutti i natanti che forzano il blocco siano condotti in un porto del paese che ha imposto il blocco stesso. Paradossale, perché chi sventola il blocco come soluzione vorrebbe proprio evitare l’arrivo in Italia delle imbarcazioni.

Il blocco navale non serve ad intercettare micro-natanti

Inoltre il blocco navale non serve ad intercettare micro-natanti come i barchini e gommoni che, tra l’altro, sfuggono ai radar di bordo. Essendo regolato dal diritto internazionale (articolo 42 dello statuto delle Nazioni Unite) non può essere attivato unilateralmente se non nei casi previsti di legittima difesa, aggressione o guerra. Il blocco navale, allo scopo di contrastare l’immigrazione, sarebbe dunque palesemente illegale.  C'è come monito perenne l'episodio della nave militare Sibilla: risale al 1997 ma è una ferita ancora aperta. Una corvetta della Marina causò inavvertitamente l'affondamento di un'imbarcazione albanese al largo della Puglia. I morti furono più di 100. C'era una direttiva del governo che imponeva un "blocco navale". Il governo Prodi fu criticato dalle Nazioni Unite per aver attuato quello che de facto fu un blocco navale illegale, anche se per la precisione si trattava più propriamente di un’operazione di interdizione marittima (Mio). Nel Canale d'Otranto la Marina, su ordine del governo, applicò le procedure del cosiddetto harassment, ovvero mise in atto "azioni cinematiche di disturbo e di interdizione". 

Il blocco navale è definito come un vero e proprio atto di aggressione, anche in assenza di dichiarazione di guerra, dall’art. 3 della Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 3314 del 14 dicembre 1974. I criteri per attuarlo sono stabiliti dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e 1977 sui conflitti armati via mare. 1) Prima di attuare il blocco navale la forza militare che lo attua deve comunicare alle nazioni terze non belligeranti la definizione geografica della zona soggetta al blocco stesso; 2) il blocco navale deve essere imparziale nei confronti delle nazioni non belligeranti; 3) una volta attuato consente la possibilità di catturare qualsiasi imbarcazione mercantile che violi il blocco e il suo deferimento a un apposito tribunale delle prede; 4) consente, altresì, la possibilità di attaccare qualsiasi imbarcazione mercantile nemica che opponga resistenza al blocco navale; 5) l’obbligo da parte della forza militare che attua il blocco di permettere il passaggio di carichi contenenti beni di prima necessità e medicinali per la popolazione locale.

Insomma, il blocco navale non è un'opzione sul tavolo. Siamo seri. Il resto è propaganda. Certo, sventolare la bandiera del blocco navale è meno faticoso e porta maggiore consenso che affrontare le criticità di un tema epocale. Ma c'è un limite a tutto.

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