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Giovedì, 25 Aprile 2024
Economia

Borse in rosso, la Fed fa tremare l'Europa

L'annuncio di Bernanke sul taglio agli stimoli all'economia Usa fa crollare i mercati. Piazza Affari chiude in forte calo (-3,09%). Le Borse europee bruciano in un giorno 230 miliardi. Wall Street -2,34%

Giornata nera delle Borse mondiali, risucchiate in un effetto domino di cadute innescate dai segnali di un cambiamento di rotta restrittivo della politica monetaria americana. Una stretta che arriverà prima del previsto. Dopo i pesanti cali delle piazze asiatiche in Europa la giornata di giovedì è partita subito con netti ribassi, che sono peggiorati inesorabilmente. A Milano il Ftse-Mib ha chiuso con un pesante meno 3,09 per cento, e non è stata la peggiore: Parigi meno 3,66 per cento, Francoforte meno 3,28 per cento, Londra meno 2,98 per cento, Madrid meno 3,41 per cento.

Alcune tensioni hanno riguardato anche il delicato comparto dei titoli di Stato, che tuttavia ha mostrato una minore volatilità rispetto all'azionario. Lo spread tra Btp italiani a 10 anni e Bund equivalenti della Germania ha chiuso tra i 260 e i 276 punti base, perfino in calo rispetto ai livelli di mercoledì secondo alcune piattaforme. Tuttavia secondo i dati di Mts è aumentato a 289 punti in chiusura. A contribuire al nervosismo sono stati anche nuovi segnali di indebolimento dell'economia cinese, mentre paradossalmente proprio giovedì all'opposto giungevano indicazioni positive dall'area euro.

LE CAUSE - Ad ogni modo la causa alla base di questa generalizzata correzione dei mercati va cercata oltre atlantico. Mercoledì, al termine del direttorio della Federal Reserve, il presidente uscente Ben Bernanke ha fatto capire che tra fine 2013 e inizio 2014 la Banca centrale inizierà la strategia di uscita dal suo cruciale programma di acquisti di titoli di Stato. Una mossa che implica una stretta sull'immissione di liquidità in circolazione, e che molto probabilmente prelude anche a inasprimenti delle generali politiche sui tassi.

Da segnalare che queste indicazioni arrivano pochi giorni dopo che il presidente Barack Obama ha indicato chiaramente che non intende rinnovare il mandato a Bernanke: lunedì scorso aveva affermato che era rimasto in carica più a lungo di quanto lo stesso capo della Fed volesse. Passano due giorni e Bernanke affonda i mercati annunciando l'imminente fine dell'era dell'easy money, che potenzialmente implica un possibile rallentamento della crescita Usa, in quanto fa venire meno un supporto rilevante agli aggregati di domanda di titoli finanziari.

Questo ha scatenato una brutale correzione delle posizioni di investimento sull'azionario e sul altri segmenti chiave, mentre la prospettiva di liquidità meno facili spinge gli operatori a rivedere le aspettative di redditività su altre tipologie di titoli, a cominciare dai buoni del Tesoro Usa. La stessa Wall Street, che già mercoledì aveva accusato pesanti cali, giovedì ha ricominciato a franare e a metà giornata l'indice Dow Jones perde l'1,35 per cento, mentre il Nasdaq cala del'1,49 per cento.

Secondo alcuni analisti molti investitori hanno deciso semplicemente di uscire dalle varie posizioni, e si tengono liquidi per darsi il tempo di capire come stia mutando il quadro. Il fuggi fuggi non ha risparmiato un bene rifugio tradizionale come l'oro, che anzi come il petrolio e tutte le materie prime ha risentito anche dei rafforzamenti segnati dal dollaro sul mercato dei cambi, nella prospettiva di politiche della Fed meno accomodanti. Le quotazioni di queste merci tendono ad aggiustarsi rapidamente a seguito delle variazioni dei cambi del dollaro, e per l'oro ha significato una caduta di quasi 80 dollari l'oncia, quasi un meno 6 per cento con cui le quotazioni, già calate nelle passate sedute, sono ora ai minimi da due anni e mezzo, rompendo al ribasso la soglia dei 1.300 dollari l'oncia. Stessa direzione per i prezzi petroliferi: il barile di Brent è caduto di oltre 3 dollari a quota 102,72 dollari, il West Texas intermediate ha ceduto a sua volta oltre tre dollari finendo poco sopra quota 95.

E poi ci sono i cali dell'Asia. Specialmente delle Borse cinesi con Shanghai che ha chiuso al meno 2,77 per cento e Hong Kong al meno 2,88 per cento. A giugno l'attività delle imprese ha segnato un indebolimento, accentuando una dinamica di contrazione già in atto e finendo ai minimi da nove mesi a questa parte. Perfino il gigantesco settore manifatturiero cinese è finito in territorio di contrazione.

Il tutto dopo che da settimane si moltiplicano i segnali di frenata della crescita e di restrizione della dinamica del credito in Cina, sulla scia della scelta delle autorità di cercare di limitare i rischi di bolle finanziarie e surriscaldamento dell'economia. Tanto che i tassi di interesse del circuito interbancario cinese hanno segnato continue impennate, fino a toccare giovedì il record del 10 per cento sui prestiti a un mese, secondo il Financial Times, il triplo rispetto a pochi giorni fa dopo che la Banca centrale ha omesso di immettere liquidità supplementari in circolazione.

Da segnalare la circostanza non rassicurante che le tensioni sui tassi interbancari sono stati il primo segnale della crisi finanziaria globale esplosa nel 2007, ma in quella fase riguardavano principalmente area euro e Usa.

Ma in generale i mercati asiatici, non solo quelli della Cina, sono in una fase particolarmente volatile e nervosa da alcune settimane, proprio nella prospettiva di un cambiamento di rotta delle politiche monetarie Usa. Perché questo sta apparentemente provocando un gigantesco deflusso di fondi da quell'area per rientrare sull'economia a stesse strisce. E "ci attendiamo altre tornate di correzioni sui mercati dell'Asia", rileva Benoit Anne, analista di Soc Gen. "Siamo posizionati sulla difensiva".

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