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Sabato, 20 Aprile 2024
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Brescia, sgombero e polemiche: madre invalida sbattuta in strada con il figlio

La storia di Rachida, ex operaia, invalida al 70 per cento e madre di un bambino di 9 anni, sotto sfratto per morosità incolpevole

Sognava una casa, un lavoro e un mondo meno ostile. Ma anche i sogni le sono stati bruscamente sottratti. Interrotti dalla voce dello sconosciuto che le ordinato di svegliarsi, prendere le sue cose ed andarsene dal suo letto e dalla casa in affitto che non poteva più permettersi. Il viso duro di un Carabiniere di Trenzano e l'ordinanza di sgombero emessa dalla Procura di Brescia sono le prime cose che gli occhi di Rachida hanno visto lo scorso mercoledì mattina.  

Un ordine al quale la 31enne ex operaia, con problemi di salute legati al malfunzionamento di un rene, ha provato a ribellarsi: urlando e cercando il telefono per chiedere aiuto a chi le è sempre stato vicino nei momenti di difficoltà: i volontari dell'associazione Diritti per Tutti che già in altre occasioni avevano evitato l'esecuzione dello sfratto per morosità incolpevole. 

La chiamata le è stato negata, come in passato le fu negata la residenza dal sindaco di Trenzano Andrea Bianchi. 

"Non riesco ancora a credere a quello che è successo - racconta Rachida - . Erano le sei del mattino e stavo ancora dormendo. Quando ho aperto gli occhi ho visto un vigile vicino a me, che mi ha ordinato di alzarmi e di andarmene. Ho chiesto di chiudere la porta della camera per farmi vestire, ma non mi hanno concesso neanche quello, ho provato a prendere il telefono, ma non me l'hanno permesso. Ho spiegato ai vigili e ai Carabinieri che non avevo un posto dove andare e loro mi hanno detto di arrangiarmi, che se non me ne andavo io mi avrebbero fatto uscire loro con la forza".

"Erano in quattro - continua Rachida -  mi hanno preso per le mani e per i piedi e mi hanno sbattuta fuori. Ho cominciato e piangere e ad urlare, anche mio figlio Ilyas è scoppiato a piangere, ma loro se ne sono fregati. Io ho dei problemi di salute, ma neanche a quello hanno pensato, gli interessava solo cambiare in fretta la serratura della porta di casa. Da quando sono arrivata in Italia, 11 anni fa, ho sempre lavorato, facevo l'operaia in paese della bergamasca, poi mi sono ammalata e mi hanno licenziata. Non percepisco la disoccupazione perché lavoravo tramite cooperativa. Per dare da mangiare a mio figlio faccio di tutto, mi arrangio facendo le pulizie, vado anche fino a Crema e Piacenza, ma i soldi non bastano." 

Dopo lo sgombero, Rachida e Ilyas sono stati portati nella comunità di recupero Shalom di Palazzolo, dove avrebbero dovuto rimanere solo due giorni, seguendo le regole della struttura (divieto di comunicare con l'esterno e di uscire dalla struttura). Questa la soluzione prospettata dalle isituzioni per evitare che la 31enne marocchina fosse separata da suo figlio. 

"Quello che è accaduto a Rachida è gravissimo - commenta Umberto Gobbi di Diritti per Tutti -. Uno sgombero violento e senza preavviso: l'hanno trascinata di peso fuori di casa per portarla in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Più che una soluzione, si è trattato di un favore che la suora che gestisce la comunità ha fatto al capitano dei Carabinieri di Trenzano."

La permanenza nella comunità è durata poche ore, Rachida è riuscita a mettersi in contatto con l'associazione e insieme al figlioletto si è trasferita all'hotel Alabarda di via Labirinto, occupato lo scorso 29 maggio, e dove attualmente dimorano decine di famiglie italiane e straniere. Inevitabilmente il trauma dello sgombero ha inciso sul già debilitato fisico della donna che è stata portata al pronto soccorso nella serata di mercoledì. (Da BresciaToday)

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