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Giovedì, 28 Marzo 2024
L'intervista

Randagi, un milione di euro l'anno non hanno salvato Simona sbranata da un branco

Il buco nero dei controlli e dei piani specifici nelle regioni del Sud. Oipa denuncia a Today: "Colpa delle amministrazioni inadempienti"

Attaccata e uccisa da un branco di cani randagi nella pineta di Satriano, Comune delle Serre Calabresi in provincia di Catanzaro, dove era arrivata con un amico per fare un pic-nic: la morte di Simona Cavallaro, ventenne di Soverato, oltre a scioccare per la sua drammaticità riaccende un dibattito aperto ormai da tempo legato al tema del randagismo, un fenomeno che soprattutto nelle regioni meridionali ha assunto criticità importanti.

È lo stesso ministero della Salute, incaricato di monitorare il randagismo, a mettere in evidenza quanto la situazione sia complessa in alcune zone d’Italia: “Negli ultimi venti anni in Italia sono state emanate diverse norme per la tutela degli animali da affezione e la lotta al randagismo - spiegano dal ministero - Tuttavia l’attività ispettiva e il monitoraggio effettuati sul territorio hanno messo in evidenza molte criticità sull’applicazione delle disposizioni vigenti”.

Nel 2020 un milione di euro di fondi pubblici per combattere il randagismo

Ogni anno, a partire dal 1991, il Ministero ripartisce il fondo per la tutela del benessere e per la lotta all'abbandono degli animali da compagnia istituito dalla legge 14 agosto 1991, n. 281. Si tratta di denaro che viene distribuito tra le Regioni sulla base dei dati inviati ogni anno e dei criteri stabiliti con decreto ministeriale:

  • il 40% viene ripartito in quote di pari entità tra le Regioni sulla base dell'attivazione della banca dati regionale dell'anagrafe canina in riferimento alla consultabilità per via telematica. Per la Regione Trentino Alto Adige, la ripartizione delle quote spettanti sarà attribuita, per un pari importo, alle province autonome di Trento e Bolzano
  • il 30% viene ripartito tra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano in base alla consistenza della popolazione dei cani e dei gatti con riferimento al numero di ingressi nei canili sanitari e nei gattili
  • il 30% viene ripartito tra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano in base alla popolazione umana

Nel 2020, così come nel 2019, il Ministero ha messo a disposizione 1 milione di euro da distribuire tra Regioni e Province Autonome. Ovviamente, in mancanza di trasmissione dei dati e di un piano specifico contro il randagismo la situazione si complica. Il ministero stabilisce infatti che le Regioni e le Province autonome debbano individuare, nell'ambito della programmazione regionale, le priorità di intervento elaborando il piano operativo di prevenzione del randagismo. Nella programmazione devono dare, come previsto dalla legge finanziaria 2007, priorità ai piani di controllo delle nascite destinando una quota non inferiore al 60% delle risorse alle sterilizzazioni, dove necessario, e ad altre iniziative intese a prevenire il fenomeno del randagismo. Sempre le Regioni devono quindi inviare al Ministero della Salute una relazione annuale sull'attività svolta in materia di randagismo.

“I fondi vengono erogati alle Regioni e poi, in base alle leggi regionali, sono le Regioni stesse a dover mettere in campo azioni per prevenire e combattere il fenomeno del randagismo canino e felino - spiega a Today Claudia Taccani, avvocato e portavoce del presidente dell’Oipa - la maggior parte dei volontari ci riferisce che in Calabria la problematica riguarda cani padronali, che hanno un proprietario che li lascia liberi senza supervisione e che, oltre a rischiare la vita, si riproducono. I cuccioli quando sopravvivono nella maggioranza dei casi diventato cani randagi, a loro volta senza supervisione né sterilizzazione o chip, e questo è uno dei motivi per cui chiamiamo in causa le amministrazioni”.

La legge quadro 281 del 1991, spiega ancora Taccani, è a oggi la norma fondamentale cui fare riferimento quando si tratta di gestione del fenomeno del randagismo: “La legge stabilisce che cani e gatti trovati vaganti non possano essere soppressi a meno che non rappresentino un pericolo certificato per la pubblica incolumità o siano affetti da male incurabile. Il cane vagante in precedenza veniva accalappiato e sottoposto a eutanasia. Inoltre questa legge, che va applicata dalle singole Regioni, fornisce indicazioni pratiche sia al Servizio Veterinario sia al Comune, che hanno competenza per provvedere alle attività di prevenzione e repressione del fenomeno del randagismo. Noi però riceviamo spesso segnalazioni dai nostri volontari, soprattutto tra Calabria e Sicilia, su una mancanza di collaborazione  con le associazioni. Invece il terzo settore è fondamentale anche per aiutare le istituzioni su problemi di questo tipo”.

Il randagismo nel Sud Italia, un fenomeno complesso

Le criticità sul tema emergono anche dai dati, e nel caso della Calabria e della Sicilia dalla loro totale assenza. Calabria e Sicilia sono infatti le uniche due regioni che nel 2020 non hanno comunicato al Ministero i numeri sul randagismo, omettendo di indicare gli ingressi nei canili sanitari e in quelli rifugio, il numero dei cani adottati e il numero di gatti sterilizzati. E i motivi sono differenti, primo tra tutti una situazione talmente critica da rendere quasi impossibile tenere traccia di tutti i cani abbandonati e randagi presenti sul territorio. Abbandono e randagismo sono infatti strettamente legati, come conferma anche Massimo Comparotto, presidente dell’Oipa, che ha elaborato e diffuso i dati: “Il randagismo non si crea da sé - conferma - questa piaga sociale, molto grave in Italia e soprattutto nel Meridione, è determinata dagli scellerati abbandoni e dalle amministrazioni locali che troppo spesso girano la testa dall’altra parte, invece di sterilizzare, accogliere e promuovere le adozioni”.

L’abbandono infatti spesso, senza interventi mirati, si trasforma in randagismo: i cani che sopravvivono alla strada, alla fame e alle malattie spesso si uniscono ad altri cani formando branchi (la sopravvivenza è più semplice in gruppo) e le femmine non sterilizzate partoriscono cuccioli che a loro volta restano vaganti, se non trovano adozione o qualcuno che se ne prenda cura, e vanno ad alimentare il fenomeno. Che sulla base dei dati comunicati dalle Regioni, nel 2020 è in lieve diminuzione rispetto agli anni precedenti: poco meno di 120.000 cani sono entrati in canile nel 2020, 42.360 sono stati adottati, anche se all'appello mancano i numeri di Calabria e Sicilia, appunto, che incidono di molto sul bilancio. E manca poi tutto il sommerso, e cioè tutti quei cani che sfuggono alla rete di monitoraggio: tenendone conto, la cifra aumenta e anche in modo massiccio.

Cani vaganti e cani randagi

Ovviamente sono necessarie distinzioni: non sempre un cane vagante è un cane randagio, ma potrebbe trattarsi di un cosiddetto “cane di quartiere”, un cane dotato di microchip, sterilizzato e vaccinato che non rappresenta un pericolo per la sua salute e per l'incolumità pubblica e viene considerato e riconosciuto come libero dalla comunità, che se ne prende cura (tramite cittadini o volontari). Quanto accaduto in Calabria, però, sembra coinvolgere una differente tipologia di cani vaganti: randagi a tutti gli effetti, non tracciati né tracciabili e non monitorati, completamente estranei o ormai disabituati all'interazione con gli umani.

Capita, appunto, con cani abbandonati che trascorrono lungo tempo in strada, lontani dagli essere umani, e che per sopravvivenza formino un branco. E i branchi composti da più esemplari possono diventare stanziali e considerare una particolare zona un rifugio che, se invaso da quella che viene percepita come una minaccia, va protetto: “I cani abbandonati sono sempre tanti e, laddove le campagne di sterilizzazione sono lacunose, le molte femmine vaganti partoriscono cuccioli che, quando non muoiono di stenti, di malattia o d’incidente, diventando adulti alimentano la popolazione di randagi”, conferma Comparotto.

Ciò che emerge in modo preoccupante dalla tragedia di Satriano è il fatto che il branco si trovasse non in aperta campagna, lontano da insediamenti umani, ma in una pineta attrezzata molto frequentata: “Quanto avvenuto a Satriano lascia sgomenti - è stato il commento di Nino Spirlì, presidente della Regione Calabria - Si fa davvero fatica a crederci. È una tragedia immane che poteva e doveva essere evitata. Non si può morire in questo modo, a vent’anni. Mi auguro che gli inquirenti, che hanno già avviato le indagini, facciano luce al più presto su quanto accaduto e riescano a individuare gli eventuali responsabili. A nome di tutta la Giunta regionale, mi unisco allo straziante dolore della famiglia di Simona ed esprimo il più sentito cordoglio a tutta la comunità di Soverato, sotto choc per un evento incomprensibile, inaccettabile”.

Per l’Oipa però la responsabilità di tragedie di questo genere va ricondotta a quelle che definisce “amministrazioni inadempienti. Le Regione sono tenute, sentite le associazioni, ad adottare un programma di prevenzione del randagismo, ma i fondi per la lotta al randagismo non sono mai sufficienti a lenire questa grave piaga sociale”.

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