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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Caso Shalabayeva, si riapre l'istruttoria: saranno sentiti nuovi testimoni

La moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov venne espulsa verso il Kazakhstan nel 2013 insieme alla figlia Alua. Accolta la richiesta delle difese di sentire l'ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, il pm Eugenio Albanonte e l'allora procuratore aggiunto Nello Rossi

Si riapre l'istruttoria dibattimentale davanti alla Corte di appello di Perugia per il processo di secondo grado relativo al rimpatrio di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, espulsa verso il Kazakhstan nel 2013 insieme alla figlia Alua.

La Corte, dopo oltre tre ore di camera di consiglio, ha accolto la richiesta delle difese di chiamare a testimoniare in aula l'ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, il pm Eugenio Albanonte e l'allora procuratore aggiunto Nello Rossi. I giudici non hanno invece accolto la richiesta di una delle difese di sentire come testimone l'ex consigliere del Csm Luca Palamara. Respinta anche la richiesta delle difese di acquisire agli atti parlamentari sulla vicenda.

La vicenda

I fatti risalgono alla notte tra il 28 e 29 maggio 2013, quando Alma Shalabayeva e la figlia furono prelevate dalla polizia nella loro abitazione di Casalpalocco. Le forze dell'ordine cercavano il marito, il dissidente kazako Muktar Ablyazov, ma alla donna venne contestata l'accusa di possesso di un passaporto falso. Due giorni dopo venne firmata l'esplusione e furono rimpatriate. La vicenda portò nel luglio dello stesso anno alle dimissioni del capo di gabinetto del ministero dell'Interno Giuseppe Procaccini. Non passò invece la mozione di sfiducia per l'allora capo del Viminale, Angelino Alfano. La donna e la figlia tornarono poi in Italia e a Shalabayeva nell'aprile 2014 venne riconosciuto l'asilo politico. Cortese era all'epoca dei fatti contestati a capo della Squadra Mobile di Roma.

La sentenza di primo grado

La sentenza di primo grado ha disposto a carico di Renato Cortese, all'epoca dei fatti capo della squadra mobile di Roma (quando è stata emessa la sentenza era invece questore di Palermo e lasciò l'incarico, venendo posto formalmente "a disposizione dell'amministrazione della Pubblica sicurezza" ndr),  dell’ex capo dell'Ufficio immigrazione Maurizio Improta e di due funzionari della squadra mobile romana Francesco Stampacchia e Luca Armeni, la condanna a cinque anni di reclusione e all'interdizione perpetua dei pubblici uffici. Due anni e sei mesi per il giudice di pace Stefania Lavore, tre anni e mezzo per Stefano Leoni e quattro anni per Vincenzo Tramma, funzionari dell'Ufficio immigrazione.

Le reazioni

"Siamo soddisfatti che la Corte di appello si sia resa conto dell'importanza di ascoltare questi testimoni e siamo certi che affronteremo con estrema serenita' anche questo secondo grado di giudizio dando vita alla rinnovazione dell'istruttoria''. Cosi' l'avvocato Ester Molinaro, difensore insieme a Franco Coppi, di Renato Cortese.

"Prendiamo atto della decisione della Corte e non possiamo che rispettarla. Valuteremo poi le dichiarazioni testimonali dell'ex procuratore Giuseppe Pignatone e del pm Eugenio Albamonte e vedremo quali domande porre''. Dice l'avvocato Ali Abukar Hayo, difensore di Maurizio Improta.

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