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Martedì, 23 Aprile 2024
CASO KAZAKO

Caso Shalabayeva, otto indagati: "Fu sequestro di persona"

La Procura di Perugia ha notificato l'avviso di garanzia al capo dello Sco Renato Cortese, al questore di Rimini Maurizio Improta, al giudice di pace Stefania Lavore e ad altri cinque poliziotti per l'espulsione della moglie del dissidente kazako Ablyazov nel maggio 2013

Sequestro di persona. È questo il reato che la Procura di Perugia ipotizza al capo dello Sco Renato Cortese, al questore di Rimini Maurizio Improta, ad altri 5 poliziotti già in forza alla Squadra mobile di Roma oltre che al giudice di pace Stefania Lavore per il caso di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Ablyazov espulsa dall'Italia nel 2013. Il legale della signora, Astolfo di Amato, ha spiegato: "Noi avevamo denunciato, le indagini hanno evidentemente confermato che avevamo visto giusto, seguiremo sviluppi con attenzione e decideremo se costituirci parte civile". Il difensore di uno degli indagati ha dichiarato: "Ho appreso la notizia da un telegiornale. Sono oggettivamente sorpreso per questa notizia che è stata diffusa con tanta evidenza".

Le accuse nei confronti di Cortese e Improta sono riferite a quando i due erano rispettivamente il capo della squadra mobile di Roma e il capo dell'ufficio stranieri della questura della Capitale. Con la stessa accusa, nel registro degli indagati della procura perugina - competente ad indagare in quanto è coinvolto un giudice del distretto di Roma - compaiono poi Luca Armeni e Francesco Stampacchia, all'epoca rispettivamente dirigente della sezione criminalità organizzata e commissario capo della squadra mobile di Roma, Vincenzo Tramma, Laura Scipioni e Stefano Leoni, tre poliziotti in servizio presso l'ufficio immigrazione.

La Shalabayeva, insieme con la figlia di 6 anni, fu fermata alla fine di maggio del 2013 nella sua villa di Casal Palocco, in seguito ad un mandato di cattura del Kazakistan e che riguardava nel complesso anche il marito della donna, il manager dissidente Muktar Ablyazov. Cortese era allora capo della Mobile di Roma, Improta il capo dell'ufficio stranieri della Capitale. La donna fu rimandata nel suo paese. Una sentenza della Cassazione del luglio del 2014 ha poi stabilito che madre e figlia non dovevano essere espulse dall'Italia.

A luglio 2013, in seguito alle polemiche per l'operazione, si era dimesso il capo di gabinetto del ministero dell'Interno Giuseppe Procaccini. Sempre nel luglio di quell'anno venne respinta in Senato la mozione di sfiducia nei confronti di Alfano. Ora, però, la procura di Perugia depositando questi avvisi di garanzia "vuole capire", come ribadisce il legale della donna.

Vive a Roma, ma non nella villa di Casal Palocco, Alma Shalabayeva. Insieme con la figlia piccola e l'altro è tranquillamente cittadina della Capitale da tempo, spiega chi la frequenta. Dopo la concessione dell'asilo politico e l'interessamento attivo del ministro Emma Bonino la signora è tornata alla sua vita di sempre. Il marito è ancora detenuto in Francia. "Con Muktar ha rapporti continui, lo è andato a trovare poche settimane fa", si ripete. Una figlia grande vive in Svizzera ed un altro figlio è a Londra. "Per le feste spero le possano passare insieme".

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