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Mercoledì, 17 Aprile 2024
Cronaca

Chiudere i Cara non è un "capriccio" di Salvini: ma l'addio al modello Sprar è crudele

Prima Castelnuovo, adesso Mineo. Domani inizia il trasferimento dei migranti dal Cara. Ma come si concilia la chiusura dei grandi centri diventati "ghetti" con il colpo mortale inferto dal decreto sicurezza al modello Sprar di accoglienza diffusa (che funziona)?

Dopo Castelnuovo di Porto, tocca a Mineo. Domani mattina inizia un primo trasferimento dei migranti ospitati all'interno del Cara di Mineo, in provincia di Catania. Circa 50 persone lasceranno la struttura, a fine mese sarà la volta di un secondo gruppo. Rientra tutto nel piano del ministro dell'Interno Matteo Salvini, che ha promesso di smantellare il gigantesco centro d'accoglienza entro fine 2019. Gli ultimi a lasciare il centro saranno in seguito, tra qualche mese, i nuclei familiari con minori e le persone "vulnerabili".

Migranti e accoglienza, è giusto chiudere i Cara?

Ma è giusto chiudere i Cara? Lo pensano in molti, non solo la Lega, come vedremo. Il vero punto di domanda è però perché il governo abbia deciso di colpire anche  i piccoli centri per l’accoglienza diffusa, ovvero gli Sprar, azzoppati dal decreto sicurezza. Ma procediamo con ordine. Oggi come oggi nel Cara di Mineo vivono più di mille richiedenti asilo (in passato è arrivato a ospitarne il triplo). Il trasferimento, secondo quanto deciso dal Viminale, sarà programmato di mese in mese e prevede l'inserimento nel Siproimi (l'ex sistema Sprar, ora "depotenziato") dei 15 titolari di protezione internazionale e il trasferimento degli altri in centri più piccoli in varie province siciliane.

La storia del Cara di Mineo

Il Cara di Mineo era stato aperto nel 2011 dall'allora governo Berlusconi (al Viminale c'era Roberto Maroni, Lega). La situazione era di emergenza, a causa della massiccia ondata migratoria dovuta alla "primavera araba". Il Cara di Mineo è da allora una delle strutture d'accoglienza più estese d'Europa, si trova in quello che un tempo era il "Residence degli Aranci" che ospitava i militari americani di stanza nella base di Sigonella. La gestione è stata caratterizzata da tante ombre, e il luogo è finito spesso al centro delle cronache per episodi di criminalità (spaccio di droga e prostituzione, tra gli altri). Ma per l'economia locale la presenza del Cara è importante. Fondamentale, verrebbe da dire, se si pensa che la chiusura porterebbe alla perdita di 400 posti di lavoro. 

“Il Cara di Mineo deve chiudere”: eppure è ancora lì 

A tal proposito il gruppo consiliare "Mineo nel cuore" parla di vero e proprio "dramma sociale ed occupazionale che si verificherebbe" qualora l'esecutivo portasse avanti questo proposito. "Proponiamo una class action perché la chiusura del Cara di Mineo comporterà il licenziamento di circa 400 dipendenti della struttura - in aggiunta ai circa 150 già recentemente licenziati -, la chiusura di alcuni alberghi - soprattutto nella città di Caltagirone - che fino ad oggi hanno ospitato le forze dell'ordine, il ridimensionamento della scuola pubblica a Mineo che ha accolto i giovani allievi extracomunitari, la chiusura di alcuni reparti dell'ospedale "Gravina" di Caltagirone - come ad esempio quello di ostetricia -, la riduzione del numero di presenze delle forze dell'ordine nelle nostre comunità, l'azzeramento del gettito IRPEF derivante dai rapporti di lavoro dipendente con il relativo impoverimento delle casse dei nostri Comuni e in ultimo - ma assai grave - l'abbandono della struttura di contrada Cucinella che diventerà il ricettacolo di ogni forma di illegalità".

Chiude il CARA di Castelnuovo di Porto

"I Cara non sono modelli di integrazione ma ghetti"

Ma il problema di fondo resta, e non è marginale: i Cara non erano, non sono e non saranno mai "modelli di integrazione". Sono "ghetti di esclusione" scrive su Twitter il giornalista Stefano Liberti. Sempre su Twitter, la giornalista esperta di immigrazione Annalisa Camilli nota: "I Cara vanno chiusi, sono centri costruiti nel nulla, in cui le persone sono solo numeri. Poi la chiusura di Castelnuovo di porto è barbara: senza preavviso e senza attenzione per i casi vulnerabili e per i percorsi di vita già avviati. Ma parlare di eccellenza è ridicolo". I Cara - nonostante alcune storie positive (l'ultima fase della gestione di quello di Castelnuovo era stata unanimemente apprezzata) - spesso sono diventati luoghi ai margini, degradati, in cui gli ospiti diventavano facile preda della criminalità: ad esempio, secondo quel che emerse da alcune inchieste giornalistiche, vari ospiti del Cara di Mineo in passato finirono a lavorare illegalmente come braccianti agricoli, in una zona dove in passato il caporalato non esisteva.

Ma allora perché colpire anche gli Sprar?

C'è però qualcosa che non torna nel piano dell'esecutivo: se superare il "modello Cara" appare sensato, non si capisce come ciò possa andare di pari passo con il totale ridimensionamento del sistema Sprar, l’unico modello funzionante dell’accoglienza. Gli Sprar (sta per "sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati") sono piccoli progetti di accoglienza diffusi su base comunale e considerati gli unici al riparo delle fauci di mafie e altre realtà senza scrupoli. Il "modello Sprar" funziona, e ha funzionato in tante zone della Penisola, perché le cifre ridotte che richiede non hanno dato linfa a business opachi, e il modello Sprar è davvero finalizzato all’integrazione grazie a percorsi di studio e programmi di inclusione lavorativa. Il decreto sicurezza in pratica permette l'accesso agli Sprar solo e soltanto a coloro che hanno visto accolta la domanda di protezione internazionale, mentre chi è ancora richiedente (la maggior parte, a causa dei tempi lunghissimi) deve restare nei centri d’accoglienza ordinari.

I grandi centri non funzionano e vengono chiusi. Quelli piccoli che funzionano vengono fortemente limitati. E' proprio in questo "controsenso" che risiedono molte delle critiche al decreto Salvini: affrontare una questione complessa ed epocale come quella dell'immigrazione come "pura gestione dell'ordine pubblico". Senza una visione.

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