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Venerdì, 19 Aprile 2024

Nadia Palazzolo

Giornalista

Se serve dire che padre e madre sono uguali abbiamo un problema

L'automatica attribuzione del solo cognome paterno "si traduce nell’invisibilità della madre"  ed è il segno di una diseguaglianza fra i genitori, che "si riverbera e si imprime sull’identità del figlio". Sono le parole che la Corte costituzionale usa per dichiarare  l’illegittimità delle norma del codice civile per la quale un figlio riconosciuto da entrambi i genitori assume automaticamente il cognome del padre. La sentenza è stata emessa a fine aprile, ma oggi 31 maggio è arrivata la motivazione. Le parole dei giudici, di fatto, segnano una rivoluzione nel nostro Paese. Da sempre infatti quando una culla si riempie, il bimbo o la bimba acquisiscono il cognome del papà. Con buona pace della mamma che dopo i nove mesi in primo piano (per forza di cose) di colpo non conta più. 

Che la situazione portasse con sè un retaggio fin troppo patriarcale e fosse in conflitto con la tanto decantata parità tra sessi era palese. Che facesse a pugni con altre norme, che avevano già provato a cancellare il ruolo subalterno della donna pure. Già nel 1961 la Cassazione - ancora una volta è stato necessario scomodare le toghe - aveva chiarito che una donna dopo il matrimonio ha il diritto, ma non l’obbligo, di aggiungere il cognome del marito. E che per gli atti amministrativi mantiene il proprio cognome. Per il cognome del papà ai bambini invece tutto è rimasto fermo. L'idea di cambiare le cose - in realtà - c'era. Negli anni il tema è stato proposto ciclicamente però le risposte suonavano di volta in volta allo stesso modo: "poi", "le priorità sono altre".. all'italiana insomma. Un Parlamento mezzo sordo ha fatto "orecchie da mercante". La sentenza della Consulta sembra però ricordarci che c'è un limite a tutto: anche all'indolenza. 

Adesso i giudici ci dicono che il cognome del figlio "deve comporsi con i cognomi dei genitori" nell’ordine dagli stessi deciso "fatta salva la possibilità che, di comune accordo, i genitori attribuiscano soltanto il cognome di uno dei due". Qualora vi sia un contrasto sull’ordine di attribuzione dei cognomi, si rende necessario l’intervento del giudice (l’ordinamento giuridico già prevede il suo intervento per risolvere il disaccordo su scelte riguardanti i figli). Tutto ciò, fino a quando il legislatore non decida di prevedere, eventualmente, altri criteri. Il legislatore viene tirato in ballo dai giudici altre due volte. La Corte auspica un "impellente” intervento per “impedire che l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori comporti, nel succedersi delle generazioni, un meccanismo moltiplicatore che sarebbe lesivo della funzione identitaria del cognome”. In secondo luogo, i giudici hanno affidato alla valutazione del legislatore la necessità che fratelli e sorelle non abbiano cognomi diversi. 

I giudici insomma suonano la sveglia al Parlamento. Lo stesso Parlamento dove siedono deputati e senatori eletti democraticamente e che dovrebbero essere lo specchio del Paese. Dovrebbero sì perché non è la prima volta che si dimostrano lenti, tragicamente lenti rispetto a quanto accade fuori. O peggio, lontani. Come se la poltrona sulla quale siedono avesse fatto perdere loro il contatto con i temi "banali" di tutti i giorni. Soprattutto in tema di famiglia la società è cambiata e cambia ancora, ma spesso si scontra col muro di una burocrazia rimasta imbrigliata nelle ragnatele del passato. Parliamo di quote rosa, ma poi deve intervenire la Consulta per ricordare che madre e padre hanno uguali diritti. Abbiamo un Parlamento che discute di tutto: dal riconoscimento della canzone "Romagna mia" quale espressione popolare dei valori fondanti della nascita e dello sviluppo della Repubblica (proposta 2766 presentata il 3 novembre 2020) a quella per l'"Introduzione dell'insegnamento dello strumento musicale del mandolino nelle scuole secondarie di primo grado" (presentata il 13 marzo 2014 alla Camera) ma poi su ddl Zan, fine vita, cannabis i nostri rappresentanti si assopiscono. Almeno fin quando i giudici non suonano la sveglia. Salvo poi urlare contro l'ingerenza delle toghe nella vita del Paese. Abbiamo un problema, sì. E non è "solo" quale cognome usare. Lo abbiamo nella selezione di chi ci rappresenta.

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