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Giovedì, 25 Aprile 2024
La storia / Palermo

Morto a 35 anni, la mamma: "Diagnosi sbagliata, lotterò perché Darin abbia giustizia"

Lucia Cascio, dottoressa e biologa in pensione, scoprì il presunto errore inviando i vetrini a un ospedale del Nord per un nuovo esame istologico. A PalermoToday: "Gli è stato impedito di curarsi preventivamente". Quattro medici a processo per omicidio colposo

"Tumore benigno". Ancora riecheggiano dentro la sua testa queste parole lette sul referto di un medico nel lontano 2014. Invece suo figlio aveva un cancro e non una malattia superabile come gli avevano diagnosticato. E così la diagnosi corretta arriva solo 3 anni dopo grazie a dei vetrini inviati da lei stessa, biologa, a un ospedale del Nord. Ora a distanza di due anni dalla morte di Darin D'Anna Costanzo, 35enne palermitano, la madre e il fratello Davide continuano a lottare per avere giustizia. E i quattro medici che non si accorsero che quella massa che il giovane aveva dietro al ginocchio era un sarcoma sinoviale (un tumore dei tessuti molli raro e aggressivo, ndr) andranno a processo con l'accusa di omicidio colposo. 

A riavvolgere il nastro e a raccontare tutta la vicenda - senza riuscire a trattenere le lacrime - è Lucia Cascio, medico biologo ormai in pensione dell'ospedale Cervello. "Per colpa di un esame istologico sbagliato a mio figlio è stato impedito di curarsi preventivamente - dice convinta a PalermoToday, mentre beviamo un po' d'acqua frizzante in uno dei suoi posti del cuore, il Circolo del Tennis, la seconda casa di Darin -. Magari, se preso per tempo, questo tumore sarebbe potuto non essere letale".

Fu Darin a denunciare questi medici quando era ancora vivo (ora la battaglia è portata avanti dalla madre e dal fratello). Per loro la Procura aveva chiesto l'archiviazione ma, grazie all’accoglimento dell’opposizione presentata dagli avvocati difensori Salvatore Vitrano e Nino Agnello, si dovrà procedere per omicidio colposo. Il gip Filippo Serio ha infatti ordinato l'imputazione coatta per i quattro professionisti del San Raffaele Giglio di Cefalù e del Cervello di Palermo che - secondo la tesi dei legali della famiglia della vittima - avrebbero impedito al giovane di curarsi in modo corretto a causa di una diagnosi errata. Si tratta di Filippo Boniforti, Aroldo Gabriele Rizzo, Angelo Vetro e Giancarlo Pompei.

Tutto inizia nel 2014, quando Darin aveva solo 29 anni. Una strana tumefazione dietro al ginocchio, più precisamente al cavo popliteo sinistro, si andava ingrossando. Ecografie, risonanze magnetiche, visite e lo spettro di quella che sembrava una semplice tenosinovite. "Ma andava via via ingrossandosi sempre più - racconta mamma Lucia, che al tavolino del bar del Circolo indossa gli occhiali da sole scuri -. Decidiamo a quel punto di fare una consulenza con il dottor Filippo Boniforti, responsabile di Ortopedia del Giglio di Cefalù. Mio figlio andò sotto i ferri una prima volta. Quella massa, alla quale non fu fatta una biopsia preventiva, fu mandata al Cervello per l'esame istologico. Il reparto di Anatomia patologica era guidato dal primario Aroldo Gabriele Rizzo". Anche il giovane, come sua madre, era laureato in Biologia alla triennale e stava per concludere il percorso di studi con una magistrale in Scienze Agrarie. Un master a Messina gli aveva anche fatto scoprire il mondo della fecondazione assistita a cui si dedicò con passione.

Il referto dell'ospedale Cervello parlava di una "tenosinovite villonodulare", una forma benigna di tumore che colpisce le articolazioni. "Sembrava fosse nulla di preoccupante - racconta ancora la dottoressa Cascio - e così Darin è rimasto per tre anni senza alcuna preventiva terapia. Mio figlio era uno sportivo, non si lamentava mai di nulla. Ma questa tumefazione dopo tre anni si riformò. Ci siamo recati allora dal fisiatra Angelo Vetro che gli diagnosticò la cisti di Baker. Nonostante tutto, questa massa continuò a ingrossarsi".

La svolta arriva soltanto quando Darin per caso parla con un amico, un giovane medico non ancora specializzato che al Galeazzi di Milano stava proseguendo i suoi studi in Ortopedia. "Dovevamo vederci chiaro. A quel punto decidiamo di chiedere altre consulenze specialistiche per appurare il suo effettivo stato di salute - ricorda ancora Lucia -. Così ho spedito i vetrini all'ospedale Pini di Milano. Sugli stessi vetrini su cui tre anni prima fu fatta una diagnosi di tenosinovite villonodulare, arrivò un'altra diagnosi, la peggiore: sarcoma sinoviale di terzo grado. Chiedo immediatamente un'altra consulenza ancora al Rizzoli di Bologna. Anche qui, nessun dubbio. Da lì è una corsa contro il tempo. Ci mettiamo immediatamente in contatto con il Galeazzi per un intervento a cielo aperto. Prima, come da protocollo, l’ospedale milanese fa analizzare un pezzettino di questa tumefazione e anche stavolta non ci sono margini di errore. E' la terza diagnosi. Mio figlio ha un tumore, va operato il prima possibile".

E' solo il 2018 quando Darin inizia il percorso di chemio e radioterapia per ridurre la massa tumorale prima di essere operato. "Mio figlio non aveva ancora metastasi - precisa questa madre -. Risponde benissimo alla terapia preventiva contro il tumore, fatta al Policlinico di Palermo con il professor Giuseppe Badalamenti. La massa, infatti, si riduce e questo rende possibile l’intervento al Galeazzi di Milano".

Ma la malattia, non trattata preventivamente, purtroppo aveva fatto il suo corso. "Poco dopo sono arrivate le metastasi ai polmoni - dice arrabbiata con la voce strozzata dalle lacrime -. Fu costretto di nuovo alla chemio e, infine, a una terapia con dei farmaci biologici che tra gli effetti collaterali avevano l'incanutimento dei capelli. Seguiva un percorso psicologico che lo supportava tentando di non fargli perdere la serenità. Ma non ce l'ha fatta comunque. Non ho mai visto Darin triste. La sua vitalità era travolgente. Io lo chiamavo extraterrestre per quanto fosse straordinario. Da dove veniva? Neppure io lo so. Mi diceva sempre di non preoccuparmi, ‘vedrai che andrà tutto bene’. Era lui a confortare me".

Appassionato di sup, windsurf, bici, golf, tennis, canottaggio, nuoto, palestra e persino box, Darin era amato da tutti per quella sua bellezza interiore che non riusciva a nascondere. "Era così pieno di vita e gioia di vivere. Casa nostra parla di lui, per fortuna. Era un ragazzo completo: eleganza, classe, intelligenza, bellezza, simpatia, altruismo. Aveva tutto, non gli mancava nulla. E non lo dico solo io che sono la madre. Ancora oggi tutti ne parlano con amore. Quando siamo andati a Milano per il suo intervento, in aereo siamo stati mano nella mano. Nei nostri cuori c'era grande sofferenza. Io ho paura di volare, ma lui era tutto per me. Durante il volo mi diceva ‘stai tranquilla, stiamo arrivando, sta per finire tutto questo’. Quasi a consolarmi. Era unico".

Ora bisognerà far luce sulle effettive responsabilità. "Io ho fiducia nella giustizia, me lo ha insegnato mio figlio - conclude Lucia Cascio -. Almeno con il processo si potranno chiarire i fatti e le eventuali responsabilità. La prevenzione è fondamentale nei tumori, soprattutto in termini di aspettative di vita. Sappiamo solo che quando si è curato seguendo i protocolli medico scientifici ha risposto bene alle terapie. Lui era sempre ottimista e se c'è un barlume di speranza per accertare la verità in nome di una persona che non c'è più, che ha sofferto, che ha lottato, che con quel sorriso e con quella forza straordinaria è stato tutto, io devo inseguirlo. Perché quello che è capitato a mio figlio non capiti più a nessun altro". 

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