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Giovedì, 25 Aprile 2024
Delitto di Garlasco / Pavia

Delitto di Garlasco, un giallo durato otto anni

La sentenza definitiva dopo 5 gradi di giudizio: dall'omicidio di Chiara Poggi, era il 13 agosto 2007, fino alla condanna definitiva: così si è arrivati alla condanna di Alberto Stasi

L'assassino c'è, si chiama Alberto Stasi. La sentenza della quinta sezione penale della Cassazione fa calare il sipario sul giallo di Garlasco. Una vicenda che, a partire da quel 13 agosto di otto anni fa in cui Chiara Poggi venne ritrovata senza vita, ha travolto un piccolo comune della Lomellina adagiato tra campi e risaie, strappato alla quiete delle sue villette, delle sue strade silenziose e delle sue biciclette per essere scaraventato sul palcoscenico di un dramma ad alto gradimento mediatico, sul cui sfondo si sono intrecciati i dolori di due famiglie. Otto anni vissuti tra dubbi e sospetti, polemiche sulla conduzione delle indagini, fiumi di articoli e ore di trasmissioni televisive, due assoluzioni in primo e secondo grado, la clamorosa sentenza della Cassazione che il 18 aprile 2013 riaprì i giochi quando parevano ormai chiusi, la successiva condanna a 16 anni di Stasi. Dichiarato colpevole di omicidio ma con pena ridotta visti il rito abbreviato chiesto dall'imputato sin dal 2009 e il mancato riconoscimento dell'aggravante della crudeltà. Fino all'epilogo odierno, che ha cristallizzato quella condanna passandola in giudicato.

Tutto comincia nel primo pomeriggio del 13 agosto 2007. A Garlasco, provincia di Pavia, un ragazzo di 24 anni laureando alla Bocconi chiama il 118 quando sono da poco passate le due del pomeriggio. E' Alberto Stasi. Ha trovato, secondo quella che diventa la sua versione, il corpo della fidanzata Chiara Poggi, con ancora indosso il pigiama, in fondo alle scale che scendono alla taverna dell'abitazione di lei. Una villa in via Pascoli, alle porte del paese, circondata dal giardino, immersa nel silenzio di una giornata estiva in cui Garlasco è quasi completamente deserta. Al loro arrivo i soccorritori constatano il decesso di Chiara. La ragazza è stata uccisa con ferocia, ha il cranio sfondato, è stata massacrata con colpi sferrati da un'arma che non verrà mai ritrovata. Alberto racconta di aver cercato per tutta la mattina di contattare inutilmente la sua ragazza per telefono. All'ora di pranzo ha deciso di recarsi presso la sua abitazione, dice di aver suonato il campanello invano. Allora ha scavalcato il cancello, ha trovato la porta d'ingresso socchiusa, è entrato, ha visto sangue, ne ha seguito le tracce, ha trovato lei già morta. Stavano insieme da cinque anni.

Entrambi erano rimasti a Garlasco, lui per finire la tesi di laurea, lei per fare uno stage a Milano. Le loro famiglie invece erano partite per le ferie qualche giorno prima. La sera prima si erano visti, poi lui era tornato a casa a dormire. Il giorno seguente avrebbe fatto la terribile scoperta dopo che la mattina, nelle ore in cui si consumava il delitto, sarebbe stato a casa sua per lavorare sul computer alla tesi. Al funerale Alberto Stasi siede nel primo banco insieme ai genitori di Chiara. Due giorni dopo, il 20 agosto, riceve un avviso di garanzia per omicidio volontario. Le indagini si concentrano subito sul giovane. L'alibi non convince gli inquirenti. Sulle suole delle scarpe indossate da Alberto al momento del ritrovamento di Chiara non ci sono tracce di sangue: come ha fatto a non sporcarsi visto che il pavimento di casa Poggi ne era pieno? Sul pedale della bicicletta di Stasi viene trovato il Dna di Chiara, e una vicina dice di aver visto una bici appoggiata davanti alla villa dei Poggi proprio la mattina del delitto. Basta perché la procura di Vigevano decida il fermo del giovane bocconiano.

E' il 24 settembre 2007. Dopo quattro giorni in carcere, il primo colpo di scena: il gip di Vigevano non convalida. Non ci sono prove sufficienti per giustificare un arresto. Gli atti di indagine proseguono. Nel frattempo Stasi viene inquisito, a dicembre 2007, anche per l'accusa di detenzione di materiale pedopornografico. Si ipotizza che il movente del delitto possa essere questo, forse Chiara aveva scoperto quei presunti file recuperati dalla scientifica nel pc di Alberto. Di fatto il giovane sarà assolto per insussistenza del fatto da questa accusa nel 2014, dalla Cassazione, dopo che in primo grado e in appello era stato invece condannato.

Delitto di Garlasco, la foto storia | Foto Infophoto

Si arriva alla fine del 2008. A novembre di quell'anno il pm Rosa Muscio chiede il rinvio a giudizio di Stasi per l'omicidio della fidanzata. Il 23 febbraio 2009 comincia il processo di primo grado davanti al gup di Vigevano. Stasi chiede il rito abbreviato. Durante il processo, viene disposta dal giudice dell'udienza preliminare una superperizia medico-legale ed altri accertamenti. Alla fine, nonostante l'accusa chieda 30 anni, Stasi viene assolto per non aver commesso il fatto. E' il 17 dicembre 2009. Il 6 dicembre di due anni dopo, l'imputato viene assolto anche in appello. Prima che il processo approdi davanti alla Cassazione, arriva a febbraio 2012 la condanna a trenta giorni di reclusione convertiti in pena pecuniaria per possesso di materiale pedopornografico.

Il 18 aprile 2013 accade l'inaspettato: la Cassazione annulla con rinvio a nuova sezione della Corte di Appello di Milano l'assoluzione di Stasi per l'omicidio Poggi. Si ritorna davanti al giudice di merito. Il processo, a una passo dalla conclusione, è da rifare.

Il 2014 si apre con l'assoluzione definitiva di Alberto Stasi dalle accuse di pedopornografia. Cade un possibile, concreto, movente dell'omicidio. Il 9 aprile, però, comincia il processo d'appello bis. I periti confermano la presenza di Dna maschile sotto le unghie di Chiara, e vengono fatte nuove indagini da parte della procura di Milano sui pedali della bicicletta dell'imputato. Quando si torna in aula, il sostituto procuratore chiede 30 anni con l'aggravante della crudeltà. Il 17 dicembre arriva il verdetto della Corte di Appello di rinvio: l'aggravante non c'è, l'omicidio sì. Stasi è condannato a 16 anni. Dodici mesi dopo, gli ultimi due colpi di scena: il procuratore generale della Cassazione Oscar Cedrangolo chiede l'annullamento con rinvio, prendendo a picconate nella sua requisitoria la sentenza di condanna. La quinta sezione penale della Cassazione, dopo le due ore di camera di consiglio odierne, conferma invece tutto e definitivamente: Stasi deve andare in carcere, in attesa di leggere le motivazioni di una sentenza il cui dispositivo ha ignorato completamente le richieste del pg.

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