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Martedì, 19 Marzo 2024
Le intercettazioni

Le mascherine cinesi con i certificati falsi: "Facciamo copia e incolla come al solito"

Le intercettazioni svelano i dettagli dell'inchiesta che ha portato all'arresto di tre persone che secondo l'accusa avrebbero fatto entrare in Italia dispositivi di protezione non a norma, destinati alla protezione civile

Sono tutti accusati di aver importato in Italia mascherine dalla Cina con documenti falsi, incompleti o comunque provenienti da organismi che non erano preposti ad attestare la validità dei prodotti.  Certificati "con il copia incolla" come si legge nelle intercettazioni che hanno portato all'arresto di tre persone. 

"Mancava una certificazione…lui dice che ha risolto….ha fatto una copia incolla di un documento come secondo me fa di solito lui”. A parlare sono Farina e Aleksic e si riferiscono a Romeo (lui), mentre fanno il punto su una presunta “Gara giù in Sicilia”. La conversazione si legge nell’ordinanza di custodia cautelare con cui il Gip romano Francesca Ciranna, su richiesta della procura di Roma, ha disposto gli arresti domiciliari per Andelko Aleksic, Vittorio Farina e Domenico Romeo. Sono tutti accusati di aver importato in Italia mascherine dalla Cina con documenti falsi, incompleti o comunque provenienti da organismi che non erano preposti ad attestare la validità dei prodotti. Quali? Al centro dell'indagine, in cui l’ex Commissario Arcuri non è indagato, ci sono 5 milioni di mascherine Ffp2 e 430.000 camici alla Regione Lazio da parte della European Network Tlc nella prima fase dell’emergenza sanitaria (tra marzo e aprile 2020), per un prezzo complessivo di circa 22 milioni di euro.

Secondo la ricostruzione della Guardia di finanza di Roma, i 3 facevano affari d’oro con prodotti sanitari che avrebbero dovuto essere fondamentali nella prima emergenza Covid, ma che, di fatto, non avevano alcuna certificazione. In realtà loro dei documenti li fornivano, ma con un copia e incolla lì e uno qui, alla fine a chi acquistava mascherine Ffp2, guanti e camici, arrivavano certificati tutt’altro che veritieri. Documenti che avrebbero ingannato in primis la Protezione Civile del Lazio, “lucrando e acquisendo facili guadagni dalla sostanziale impossibilità di controllo da parte del committente sulla qualità della merce che veniva fornita come dispositivo di protezione”.

Proprio questa caratteristica che emerge dalle intercettazioni, cioè quella di riprodurre a raffica documenti fasulli o incompleti, ha portato il Gip a dare sostanza alla misura cautelare. Ci sarebbe la possibilità di reiterazione del reato, visto che le contestazioni sono recentissime, “peraltro il certificato falso è stato prodotto ad ottobre e la liquidazione del saldo dei camici è avvenuta a dicembre 2020”. Inoltre c’è anche il pericolo di inquinamento delle prove vista la “disinvoltura con cui sono stati prodotte certificazioni false”.  Bastava mandare in stampa una copia in più di quell’attestato falso già usato e via così. 

Ma alla fine le fiamme gialle hanno messo fine al presunto raggiro, disponendo anche il sequestro preventivo dei quasi 22 milioni di euro, a carico dei tre arrestati e della società milanese European network Tlc Srl, nei cui confronti è stata emessa la misura interdittiva del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione.

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