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Giovedì, 28 Marzo 2024
Omicidio Yara

Yara, l'assassino è presunto ma il mostro è già online

Mentre Angelino Alfano annuncia la cattura "dell'assassino di Yara" perché - suona tanto come uno spot - "in Italia chi sbaglia va in galera", il popolo della rete "giura" vendetta e si sfoga così sul profilo Facebook del presunto killer

ROMA - Quasi quattro anni di indagini. Migliaia di profili Dna repertati. Interrogatori, presunte svolte, cadaveri riesumati. Controlli a tappeto. La paura di non trovare mai l'assassino. Le speranze che crescono e calano come in una curva irregolare di emozioni e sentimenti. Perché sullo sfondo, dietro il lavoro degli inquirenti, c'è sempre quel sorriso innocente di una ragazzina con i denti un po' troppo grandi per la sua età e quell'apparecchio che brilla insieme ai suoi occhi. Perché Yara - con il suo tormento, il suo dramma - è entrata pian piano nelle case di tutti, con la timidezza e la cortesia che lei non risparmiava con nessuno. Perché il dolore di mamma Maura e papà Fulvio è diventato subito il dolore di tutti. E più i giorni passavano, più la giustizia si allontanava. E più la giustizia si allontanava, più la rabbia cresceva, si accumulava. Fino a ieri. E' bastato un nome, nulla più: Massimo Giuseppe Bossetti. E la sete di vendetta - è di quello che si tratta - è esplosa. Incontrollata e incontrollabile. Il "mostro parassita" a cento teste dell'opinione pubblica ha trovato il suo "ospite". Di mostro in mostro: Bossetti, sbattuto in prima pagina, è diventato l'orco che ha ucciso la farfallina. Elucubrare, vendicare: avanti così

Un circuito vizioso, tetro, innescato e alimentato da chi - volontariamente o meno - ha dato il "mostro" in pasto agli stessi che si commuovevano guardando il sorriso di Yara. Quell'Angelino Alfano che, per il suo ruolo di ministro dell'Interno, avrebbe potuto usare toni meno trionfalistici e più rispettosi del "protocollo". "Le forze dell'ordine, d'intesa con la magistratura, hanno individuato l'assassino di Yara Gambirasio" ha annunciato ieri l'inquilino del Viminale. Con l'aggiunta - quasi si trattasse di uno spot elettorale - che "è un successo a dimostrazione del fatto che in Italia chi sbaglia va in galera". Mai la parola "presunto" accanto ad assassino. L'enfasi nell'annuncio. La gioia - questa più o meno giustificata - per aver finalmente trovato un colpevole. Da lì allo "sciacallaggio virtuale" è stato un attimo.  

Il mostro è finito sulle prime pagine, sulle bacheche social, sui profili Facebook. E con lui, sua moglie, i suoi figli e addirittura i suoi animali. Perché la rabbia di quattro anni ormai era esplosa. E per la parola "presunto" non c'era nessuno spazio. Così come per la privacy di una famiglia anch'essa vittima della follia - comunque da dimostrare - del classico uomo insospettabile, altro must della socialità dell'opinione pubblica. La caccia alla foto, al post, era ormai partita. E che Facebook non sia la realtà, non per forza, non è "fottuto" - come scriveva Bossetti sul suo profilo - a nessuno. Tutti chinati a guardare dal buco della serratura in casa del "mostro". 

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Le condivisioni e le minacce sono aumentate di ora in ora. "Impiccati in galera". "Bastardo". "Come hai fatto a guardare le tue figlie negli occhi?". Già, le figlie del presunto assassino. Ne ha due, le sue "majorette". La loro foto è diventata quasi virale. A voler dimostrare cosa non si sa. Ma la "sindrome emulativa" si nutre di se stessa. Il circolo vizioso si nutre di se stesso. L'odio e il desiderio di vendetta si nutrono di se stessi. 

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E le piccole sono finite in prima pagina con il loro papà. Con il mostro. Mostro per tutti, ma non ancora per la giustizia italiana. Non è una diatriba tra giustizialismo e garantismo. No. E' una questione di Costituzione. Perché Massimo Giuseppe Bossetti è un indagato, nient'altro. E' un uomo in stato di fermo, non un arrestato. E' un presunto assassino, il Dna offre buone possibilità di non sbagliare e i pm si sono sbilanciati un bel po' . E' l'uomo che per i pm potrebbe aver seviziato e lasciato morire Yara. Ma anche lui - se un processo dovesse dimostrare la sua colpevolezza - avrebbe avuto diritto a vedere tutelata la sua privacy. Ne avrebbero avuto il diritto i suoi tre bimbi. 

E invece no. Perché Alfano ha esultato troppo presto: con il suo ego, leggermente ipertrofico, ha cancellato lo splendido lavoro delle forze dell'ordine che magari avrebbero avuto in mente di chiudere la pagina Facebook di Bossetti, di nasconderlo all'Italia almeno per un po'. "Era intenzione della procura mantenere il massimo riserbo - si è rammaricato il procuratore capo, Francesco Dettori - Questo anche a tutela dell'indagato in relazione al quale, secondo la Costituzione, esiste la presunzione di innocenza". 

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"Presunzione d'innocenza". Tre parole inghiottite e cancellate dal mare magnum degli insulti. Dalla foga della condivisione. Dalla corsa all'offesa. Una follia collettiva che ha cancellato l'unica vera vittoria dell'ennesima giornata tragica. "I genitori di Yara - ha chiarito il loro legale - non hanno esultato". Forse erano gli unici che ne avrebbero avuto il diritto. Sono stati gli unici a restare zitti. 

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