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Sabato, 20 Aprile 2024
Il caso

Federico, ucciso dal padre durante un incontro protetto: sua madre Antonella cerca ancora giustizia

Il bambino fu massacrato a coltellate nel 2009. Lei aveva più volte denunciato l'instabilità e la pericolosità dell'ex marito. Il tribunale di Strasburgo ha assolto lo Stato italiano dall'accusa di non aver protetto il diritto alla vita di Federico e sua madre ha chiesto di riaprire il caso

A San Donato Milanese c'è un giardino intitolato a Federico Barakat, "vittima di figlicidio". Sorge poco lontano dal luogo dove Federico fu ucciso, a otto anni e mezzo: il centro socio sanitario dove il bambino era stato portato per un "incontro protetto" con il padre, che invece lo ha ucciso con più di 30 coltellate lasciandolo ad agonizzare per 57 minuti e poi si è tolto la vita. Era il 25 febbraio 2009 e ancora oggi quella vicenda non è ancora chiusa. La Cassazione ha assolto tutti gli imputati, i due assistenti sociali e l'educatore in servizio nel centro, ma dopo quella sentenza Antonella Penati, la madre di Federico, ha presentato appello alla Corte Europea dei diritti umani. Lo scorso 11 maggio la Cedu ha respinto il ricorso con il quale la donna aveva chiesto la condanna dello Stato italiano per non aver protetto il diritto alla vita di Federico e ora Penati ha chiesto alla Grande Camera di riaprire il caso. Perché non si tratta più solo di Federico e di sua madre, ma quella sentenza riguarda "tutta l'infanzia italiana ed europea" e "tutte le madre italiane ed europee", come ha detto oggi Antonella Penati nel corso di una conferenza stampa nella sede dell'Unione donne Italiane, per chiedere che non cali il silenzio su questa vicenda.

Antonella Penati aveva denunciato più volte l'instabilità e la pericolosità dell'ex marito. Lo stesso Federico, ha ricordato la madre, non voleva vedere quel padre, che negli anni era cambiato, preda di disturbi psichici sempre più forti e che lo avevano reso ogni giorno più instabile. Lei era stata definita invece "alienante" e "ipertutelante" e in nome della bigenitorialità erano stati fissati quegli incontri "protetti". Ma Federico non è stato protetto dall'uomo che poi lo ha ucciso e per il momento della sua morte nessuno è stato ritenuto responsabile. Tra una settimana, il 6 settembre, l'organo ricevente della Commissione Cedu, formata da cinque giudici, deciderà sull'istanza di riapertura del caso. Le probabilità che decida in tal senso non sono molte ma, come ha ricordato Penati, la speranza è che "venga capita l'importanza di prendere una posizione" e rivedere quella che ha definito una sentenza "incettabile" che di fatto "colpisce tutti i bambini affidati allo Stato". In caso di riapertura, ha sottolieato Penati, a decidere non sarebbero più cinque giudici ma tutti i giudici degli Stati membri. 

"C'è una falla nel sistema perché non può essere ammissibile che un bambino muoia mentre è nelle mani dei funzionari dello Stato senza che nessuno ne risponda", ha detto durante la conferenza l'avvocato Federico Sinicato. "Gli incontri con il padre avrebbero dovuto essere sicuri. La Cedu si è adeguata sulla valutazione espressa dallo Stato italiano, una valutazione di assoluta estraneità rispetto a quanto è successo" e in Europa, ha aggiunto, "non c'è una tutela per i minori che vengono affidati nelle mani di un ente pubblico. Dobbiamo costruire a livello europeo una tutela per i minori affidati allo Stato".

Antonella Penati ha sottolineato più volte anche l'importanza della formazione non solo dei servizi sociali ma anche della stessa magistratura per quanto riguarda la protezione delle donne vittime di violenza e dei loro figli, auspicando anche un incontro con la ministra della Giustizia Marta Cartabia.

Il ricorso della madre di Federico è sostenuto anche dalla rete D.i.Re (Donne in Rete contro la Violenza). Per la presidente Antonella Veltri "Federico è l'emblema di quanto i minori possano essere esposti alla violenza da parte di uomini maltrattanti che li usano per vendicarsi nei confronti delle loro compagne" ma anche "di quanto le istituzioni continuino a non applicare la Convenzione di Istanbul, ratificata nel 2013, e in particolare l'articolo 31 che esiste proprio per evitare queste situazioni, perché si valuti sempre la sicurezza delle donne e dei loro figli nella regolamentazione dei rapporti genitoriali". Elena Biaggioni, avvocata penalista e referente del Gruppo avvocate di D.i.Re., ha ricordato che "ad oggi nessuno nel nostro paese si è assunto la responsabilità della morte di Federico", auspicando che la Grande Camera riesamini la vicenda, "stabilendo la responsabilità degli Stati nella valutazione del rischio di subire nuova violenza cui sono esposti i minori e le donne".

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