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Giovedì, 28 Marzo 2024
La confessione del dipendente della funivia Stresa-Mottarone / Verbano-Cusio-Ossola

"Il freno d'emergenza bloccato da un mese per soldi": la confessione del dipendente della funivia Stresa-Mottarone

Gabriele Tadini ha ammesso le sue responsabilità nell'interrogatorio e ha chiamato in causa gli altri due indagati. Che però negano di aver saputo del forchettone. Dal 26 aprile incassati 140mila euro

Si chiama Gabriele Tadini il dipendente delle Ferrovie del Mottarone che ha ammesso le proprie responsabilità riguardo la presenza del forchettone sul freno d'emergenza della funivia Stresa-Mottarone. Una scelta, a dire della procura di Verbania, "consapevole e concordata" con il proprietario della struttura Luigi Nerini e con Enrico Perocchio, consulente esterno per la funivia e dipendente della Leitner che nell'impianto di Stresa ha in carico la manutenzione straordinaria e ordinaria. L'avvocato di Perocchio però nega. Mentre nel capo di imputazione della procura di Verbania nei confronti del gestore della funivia, del consulente esterno e del capo servizio dell'impianto in cui domenica scorsa hanno perso la vita 14 persone si legge che i tre, in concorso, "omettevano di rimuovere i forchettoni rossi aventi la funzione di bloccare il freno" della cabinovia quindi "destinato a prevenire i disastri", così "cagionando il disastro da cui derivava la morte delle persone". 

Gabriele Tadini, il dipendente della Funivia del Mottarone che ha confessato 

Tadini, responsabile diretto del funzionamento della struttura, ha parlato l'altroieri sera per almeno 4 ore e ha riempito parecchie pagine di verbale. Nelle quali ha sostenuto che "la preoccupazione era il blocco della funivia. Stavamo studiando quale poteva essere la soluzione per risolvere il problema" al sistema frenante di sicurezza. E questo perché "quella cabina aveva problemi da un mese o un mese e mezzo" e per cercare di risolverli sono stati effettuati "almeno due interventi tecnici". Una scelta, secondo Tadini, concordata con Nerini e Perocchio.

Una volontà dettata dai tre - fermati per omicidio colposo plurimo e lesioni plurime - dalla necessità di fronte a delle "anomalie" senza ricorrere alla chiusura della funivia che avrebbe comportato danni economici. Per questo sono accusati, in concorso tra loro, di omissione dolosa, "articolo 437 del codice penale", come ha precisato il procuratore Olimpia Bossi che, in attesa delle verifiche tecniche sulla fune e dell'intervento dei consulenti esperti, oggi chiederà la convalida dei fermi al gip del Tribunale di Verbania. E intanto si riserva "di valutare eventuali posizioni di altre persone".

Presto altri potrebbero essere iscritti sul registro degli indagati, perché se è vero che i tre fermati erano "coloro che prendevano le decisioni" e che avrebbero "condiviso" quella scelta che, secondo le indagini, assieme alla rottura del cavo, ha causato l'incidente, il sospetto degli inquirenti è che anche altri sapessero delle anomalie della funivia e di quel 'forchettone', il divaricatore che tiene distanti le ganasce dei freni di cui oggi è stata trovata tra i boschi un'altra parte, la seconda.

Intanto per adesso Nerini, Perocchio e Tadini sono stati fermati solo per l'accusa di "rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro" con l'aggravante che da questo comportamento ne è derivato un disastro. Un reato che prevede una pena fino a 10 anni, a cui si aggiungono l'omicidio colposo plurimo e le lesioni gravissime per cui i tre sono indagati. 

 "Il freno d'emergenza bloccato con il forchettone per soldi": la confessione del dipendente della funivia Stresa-Mottarone

Ma mentre Luigi Nerini, il proprietario della società che ha in gestione la struttura, si è chiuso in silenzio, l'avvocato di Perocchio ieri ha negato categoricamente che il suo assistito abbia dato l'autorizzazione a bloccare il freno d'emergenza della funivia con il forchettone.  "Nessun operatore di impianti a fune, ha ribadito mio cliente, sarebbe così pazzo di montare su una cabina con le pinze inserite" (ovvero il freno d'emergenza disattivato, ndr.), ha fatto sapere l'avvocato all'agenzia di stampa Ansa.

"Il mio cliente ha appreso della possibile presenza dei forchettoni da una brevissima e concitata telefonata fatta da Tadini domenica alle ore 12.09. Tadini ha detto 'Ho una fune a terra e ho i ceppi su'. L'ingegnere a questo punto capisce che parla delle pinze, ma - incredulo di apprendere come si possa attivare l'impianto in queste condizioni - non ha neanche il tempo di rispondere che la telefonata finisce. A questo punto sale in macchina e si reca al luogo dell'incidente". "Siamo in attesa che l'udienza di convalida sia fissata e di vedere se Tadini ripeterà quanto sostenuto anche davanti al giudice", ha concluso l'avvocato.

Andrea Lazzarini, l’editore che gestisce per conto di Nerini il sito della funivia, ha sentito Nerini lunedì mattina. "Se sapevo che c’era qualcosa di pericoloso non avrei mai rischiato la vita dei miei figli", gli avrebbe detto Nerini secondo il Corriere della Sera. La mattina del disastro, sia Federico che Stefano Nerini, che lavorano nell’azienda paterna, sono saliti in vetta. "Avrebbero potuto esserci loro", ha detto Nerini a Lazzarini.  

La Stampa intanto racconta oggi che all'inizio Tadini si era preso tutte le responsabilità: "Dottoressa mi ascolti: tutto quel che è capitato è colpa mia. Soltanto mia, di nessun altro. Io ho deciso di far girare la funivia con quei dispositivi sui freni di emergenza. L’ho scelto io, l’ho fatto fare io. Nessun altro ha avuto voce in capitolo". Poi è saltato fuori tutto il resto. E cioè che le funivie avevano un problema da fine aprile. I forchettoni erano piazzati sui freni d'emergenza dal 26. E Nerini e Perocchio avevano approvato la scelta. Erano consapevoli che sarebbe bastata una fatalità per provocare un disastro. Ma pur di non perdere gli incassi delle corse (la struttura ha incassato 140mila euro nell'ultimo messe), si sono presi il rischio: "Tanto, che cosa vuoi che capiti?". 

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