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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca

Nessun colpevole per la morte di Giuseppe Uva: ma la battaglia della sorella continua

La Cassazione mette la parola fine sul caso Giuseppe Uva confermando l'assoluzione di sei poliziotti e due carabinieri accusati di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona per la morte dell'operaio di Varese, deceduto a giugno 2008 in ospedale, dopo aver trascorso la notte nella caserma dei carabinieri. La sorella Lucia: "Una vergogna di giustizia"

Un lungo caso giudiziario, un uomo morto in una sera d'estate, nessun colpevole. La V sezione penale della Corte di Cassazione mette la parola fine sul caso Giuseppe Uva confermando l'assoluzione di sei poliziotti e due carabinieri accusati di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona per la morte dell'operaio di Varese, deceduto a giugno 2008 in ospedale, dopo aver trascorso la notte nella caserma dei carabinieri. I supremi giudici hanno rigettato i ricorsi presentati dalla Procura generale di Milano e dalle parti civili contro la sentenza d'appello che ha assolto con formula piena tutti gli indagati. All'udienza ieri erano presenti sia i familiari di Giuseppe Uva che gli imputati. Due i ricorsi depositati lo scorso ottobre: dalle parti civili e dalla procura generale di Milano. 

Giuseppe Uva, morto nel giugno 2008 a Varese

La famiglia della vittima è da sempre convinta che il decesso sia stato provocato dalle percosse e dalle manganellate inflitte all'uomo dalle forze dell'ordine che lo tenevano in custodia. Per i giudici, invece, è stata legittima la condotta di carabinieri e poliziotti intervenuti nel tentativo di contenere Uva che, insieme all'amico, stava dando in escandescenze. Uva, per i giudici, morì a causa di una patologia cardiaca e per lo stress per essere stato fermato in stato di forte ebbrezza alcolica.  Giuseppe Uva aveva 43 anni ed era un artigiano: è morto mentre era "nelle mani dello Stato", la mattina del 14 giugno 2008. Fermato nella notte da una pattuglia dei carabinieri in via Dandolo insieme all'amico Alberto Bigioggero - i due avevano alzato il gomito e avevano spostato alcune transenne sulla strada - Giuseppe viene portato nella caserma dell'Arma di via Saffi (dove giunge a sostegno una pattuglia della polizia) per essere interrogato. Trascorre parte della notte in caserma, prima di essere ricoverato per un trattamento sanitario obbligatorio all'ospedale cittadino di Circolo. Qui, al pronto soccorso prima e nel reparto di Psichiatria poi, dove gli vengono somministrati dei farmaci, Giuseppe passa gli ultimi istanti della sua vita. Lucia, sorella di Giuseppe, ha girato il Paese in lungo e in largo con un unico obiettivo: sapere la verità sulla morte del fratello. 

"Una sentenza sbagliata rimane sbagliata anche se confermata in Cassazione. Ci rivolgeremo alla Corte europea dei diritti dell'uomo", ha dichiarato l'avvocato Fabio Ambrosetti, legale dei familiari di Giuseppe Giuseppe Uva.

Ilaria Cucchi: "Non dimenticheremo Giuseppe"

''Sono profondamento addolorato, veramente profondamento addolorato. Speravo di non avere questa notizia. Non ho altro da aggiungere''. Lo dice l'avvocato Fabio Anselmo, storico legale di Ilaria Cucchi e in prima fila nella difesa delle vittime di abusi da parte della polizia, commenta la conferma dell'assoluzione. ''Sono addolorata, come semplice cittadina non ho gli strumenti per comprendere tutto questo ma da cittadina, che ha seguito attivamente il processo Uva fin dai primi istanti, andando ad ogni udienza, posso dire che non dimenticheremo Giuseppe'', dice Ilaria Cucchi.

Lucia Uva, la sorella, esprime su Facebook tutta la sua grande amarezza, postando, insieme alla foto del fratello, il seguente messaggio: "Nel nome del popolo italiano chi ha causato la mia morte sono stati assolti....Sappiate non mi fermo ci vediamo a Strasburgo!!!! Giustizia senza verità".

Poliziotti imputati: "E' finita, 11 anni di vita distrutta"

"E' finita, è finita". Luigi Empirio, il poliziotto imputato nel caso Uva, apprende dall'Adnkronos la pronuncia della Cassazione. "Penso sia il momento più bello della mia vita dopo la nascita dei miei figli. E' la fine di 11 anni di vita distrutta e dignità calpestata, di carriera bloccata - continua l'agente, da un anno e mezzo in servizio alla Questura di Brindisi - Non abbiamo mai potuto progredire, siamo sempre stati zitti, seguendo quello che ci hanno detto i nostri legali senza mai chinare la testa, convinti della verità". "Lo sapevamo - dice ancora all'Adnkronos - Ritrovo la fiducia nella giustizia, non ho mai creduto che un procuratore generale, che rappresenta anche lui lo Stato, non sia umano e non legga veramente ciò che le carte riportavano. Quello che mi ha insegnato questa storia è che le carte contano, non le parole o i processi mediatici fatti in questi lunghi anni. Ho finito con la vita della Volante, ora è tutta un'altra realtà. Ciò che mi hanno dato i dirigenti di Brindisi non me li hanno dati 20 anni di Varese. Ci tengo a dire, però, che la mia rinascita ha un nome, si chiama Gianni Tonelli. Lui ha creduto nella nostra innocenza dal primo minuto e per questo si è esposto". 

"Siamo contenti per il risultato ottenuto, per noi giustizia è fatta. Non siamo responsabili di ciò che ci hanno accusato, la verità è venuta fuori nonostante abbiano cercato in tutti i modi di processarci", ha detto all'Adnkronos Vito Capuano, uno degli agenti della Polizia di Stato imputati nella vicenda. "Siamo stati vittime di una vera e propria caccia alle imputazioni - continua Capuano, ora in servizio a Salerno - Siamo contenti per le nostre famiglie, che hanno passato tutto questo al nostro fianco, per i nostri colleghi. Psicologicamente ricomincio una nuova vita; quando si è consapevoli della propria professionalità e della responsabilità è un sollievo maggiore".

Fsp Polizia: "La divisa non è e non sarà mai simbolo di violenza"

"I poliziotti coinvolti nel 'caso Uva' definitivamente assolti dopo il terzo grado di giudizio. Una 'innocenza indubitabile', per noi ma anche sul piano giudiziario visto che è la conclusione a cui si è giunti per ben 5 volte in questo procedimento. Però sentenziata dopo 11 anni di un inferno che pochi possono reggere, meno che mai agenti che vivono con i nostri stipendi, che vivono del loro onore, che dedicano la vita a rispondere al dovere e si vedono additare come 'nemici' dei più deboli". Così Valter Mazzetti, segretario generale dell'Fsp Polizia di Stato, dopo la definitiva assoluzione di poliziotti e carabinieri imputati per la morte di Giuseppe Uva, deceduto il 14 giugno 2008, sette ore dopo essere stato portato nella caserma dei Carabinieri di Varese 

"Undici anni e tre richieste della Procura fra quella di archiviazione, quella di proscioglimento e quella di assoluzione, che fanno sembrare tutto questo una persecuzione. Impossibile, adesso, ripagare i colleghi di quanto subito, perché hanno subito senza colpe e senza tutele. Tutta la nostra solidarietà a loro che escono a testa alta da un iter giudiziario che ha messo in ginocchio anche le famiglie, costrette a sopportare un peso che schiaccia chi non ha i mezzi per resistere, tanto che dovrebbe essere lo Stato a farsi carico di quel peso, immediatamente e completamente, in virtù del principio di presunzione di innocenza, che nel nostro caso vale ancor di più a causa del malcostume di crocifiggerci perché indossiamo l'uniforme".

"La Suprema corte ha respinto il ricorso contro la sentenza con cui la Corte d'assise d'appello di Milano confermò le assoluzioni pronunciate in primo grado dalla Corte d'Assise di Varese - prosegue il sindacalista -. Al termine delle indagini il pubblico ministero aveva chiesto l'archiviazione, ma il gip dispose l'imputazione coatta. In seguito anche il nuovo pm, il procuratore facente funzione di Varese, chiese il proscioglimento degli indagati, ma nonostante tutto si giunse davanti alla Corte d'assise dove l'accusa chiese l'assoluzione, poi sentenziata dai giudici.

"La divisa non è e non sarà mai simbolo di violenza e ferocia, al di là delle bugie di chi getta su di noi l'ombra del sospetto attentando all'indispensabile rapporto di fiducia che ci lega ai cittadini. Oggi ancora una volta l'autorità giudiziaria conferma che è così, ed è una vittoria per tutti. Il dolore dei familiari di chi non c'è più deve essere pienamente rispettato, va detto però che le sentenze non sono buone solo quando ci dicono ciò che vorremmo sentire, e i giudici non sono onesti solo quando ci danno ragione, proprio come i Poliziotti non sono corretti solo quando si tengono alla larga dalle situazioni di rischio. Il rischio, purtroppo, fa parte di questo lavoro. Un rischio che accettiamo - dice Mazzetti - nonostante la calunnia in agguato, la diffamazione dietro l'angolo, le conseguenze di eventi che purtroppo fanno parte di questa nostra realtà. Tutte cose che però ci costano qualcosa di irrecuperabile sul piano personale, familiare e professionale".

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Lucia Uva: "Continuo la battaglia"

In un lungo, toccante e aspro video su Facebook, pubblicato martedì mattina, Lucia, la sorella di Giuseppe, spiega che non si fermerà: "La mia battaglia la continuerò a Strasburgo, ho il popolo italiano con me, giustizia vergognosa. Non pensate che ce l'abbiamo con tutte le forze dell'ordine. Ci rivolgeremo alla Corte europea dei diritti dell'uomo".

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