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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Un "pericolo" chiamato dissenso: su ultras e attivisti la scure della giustizia preventiva

Daspo dagli stadi applicati a chi ha manifestato in piazza a Pisa contro la Lega Nord. Sorveglienze speciali a carico di chi guida la protesta per il diritto all'abitare a Roma. La denuncia degli avvocati difensori: “Oggi in Italia bastano solo 'indizi di pericolosità' su segnalazioni delle Questure per subire limitazioni delle proprie libertà costituzionali”. L'analisi sullo stato di salute della giustizia preventiva

IL CASO DEI DASPO DI PIAZZA – Sono cinque le persone alle quali è stato applicato il daspo dallo stadio a seguito delle tensione scaturite nella manifestazione di Pisa del 14 novembre 2015. Ma, come detto, il calcio non c'entra nulla: la protesta era contro il comizio della Lega Nord: per la prima volta il daspo, nato per “limitare la libertà dei tifosi”, è stato applicato a manifestazioni di tipo politico.

LA SORVEGLIANZA SPECIALE – Il Tribunale di Roma, con sentenza del 3 ottobre scorso, ha deciso di applicare la misura preventiva della sorveglianza speciale per un anno nei confronti di due storici attivisti delle lotte per l'abitare: Luca Fagiano (foto sotto a sinistra) del Coordinamento cittadino di lotta per la casa e Paolo Di Vetta (foto sotto a destra) dei Blocchi precari metropolitani. Una misura che condiziona sensibilmente la vita quotidiana di chi ne è interessato, a partire dal divieto di uscire di casa prima delle 7 del mattino e non rientrare più tardi delle 21. La violazione di una sola delle prescrizioni stabilite dal decreto, tra cui il divieto di “non partecipare a pubbliche riunioni” costituisce un reato. Questo significa che entrambi non potranno partecipare a cortei e assemblee per tutta la durata della sorveglianza speciale.

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“TROPPE ANOMALIE” - I due legali hanno puntato il dito, nelle loro tesi difensive, su una serie di anomalie: due ci sono sembrate molto vicine all'assurdo giuridico.

I VIDEO DI PISA - La prima, ci spiega l'avvocato Checcoli, riguarda il caso degli attivisti pisani daspati dagli stadi: “I daspo applicati agli attivisti si basano su una serie di video di disordini avvenuti in piazza, ma quelle immagini non sono mai state visionate dalla difesa”. Il motivo? “Sarebbero la prova centrale dell'eventuale processo penale a carico dei manifestanti. Ma essendo il procedimento penale ancora nella fase delle indagini, i video non sono stati mostrati alzando la barriera del segreto istruttorio. Il risultato è che si è usato un elemento di prova alla base di un'istruttoria amministrativa che il “sospettato” non ha potuto visionare in quanto è in corso un'indagine parallela della magistratura. Così una persona può subire un daspo senza poter verificare nessuna prova in mano all'accusa”.

LE DENUNCE DI ROMA - L'altra anomalia, è l'analisi dell'avvocato Romeo, arriva da Roma: "Per giustificare la pericolosità sociale degli attivisti sono state portate all'attenzione del giudice decine di denunce di polizia, atti iniziali di un'inchiesta. Ma l'unica 'prova' che potrebbe delineare una persona come pericolosa sono solo e soltanto i precedenti penali, quindi le sentenze inserite nel casellario giudiziario penale". Eppure, nonostante le oltre 40 denunce di polizia sottoposte all'esame del tribunale di Roma siano terminate con un nulla di fatto (non avendo avuto alcuno sviluppo processuale,o perché archiviate, o concluse con sentenze di assoluzione o ancora al vaglio della magistratura in vari gradi di giudizio), gli attivisti sono stati sottoposti alla sorveglianza speciale "perché sospettati di essere un pericolo per la società".

NESSUN PROCESSO - Più il tempo passa, e i casi si moltiplicano, più si può constatare come "si stia ricorrendo alle misure di prevenzione per aggirare le garanzie sostanziali e processuali". E' questo il parere dell'avvocato Francesco Romeo: "E' come se in assenza della possibilità di accertare dei reati, in mancanza della prova certa della colpevolezza, ci si stia intanto orientando a sanzionare il dubbio".

APPELLO AL PARLAMENTO - Ed è qui che entra in gioco la Costituzione, in particolare gli articoli 13 (la libertà della persona è inviolabile), 16 (Ogni cittadino può circolare liberamente sul territorio nazionale) e 25 (Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge). Per questo i legali chiamano in causa direttamente il Parlamento perché, avverte l'avvocato Checcoli, "quando si parla di diritti, di libertà, di garanzie, ogni falla che si crea potrebbe determinare il crollo della diga. I precetti costituzionali sono a guardia dei diritti fondamentali, sono dighe che devono tenere contro la pressione dell'autorità che, per sua natura, tende a essere sempre più pervasiva e controllante". La questione centrale è quella del rispetto dell'articolo 25 della Costituzione: quali sono i casi previsti dalla legge e, soprattutto, "come individuare gli indici sintomatici delle pericolosità?". Un ultras può essere considerato un rischio per la sicurezza pubblica solo in quanto ultras? Un attivista politico può essere un soggetto pericoloso solo in quanto attivista politico? La risposta, secondo Antigone e A Buon Diritto, associazioni in difesa dei diritti civili, sembra tracciare il profilo di una "emergenza democratica" che sta proliferando all'interno di quella zona grigia del diritto, quel purgatorio, tra la valutazione ancorata al sospetto e l'accertamento giudiziale di quel sospetto.

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