Riace, dove i migranti sono la soluzione alla crisi
Grazie all'impegno del sindaco e della cittadinanza, il paese in provincia di Reggio Calabria ha trovato nuova linfa vitale in chi fuggiva dalla guerra e dalla fame: così curdi, africani, afgani hanno ridato vita all'economia cittadina
"Sono state delle combinazioni, delle coincidenze" così spiega quello che hanno fatto i cittadini di Riace. Al telefono con noi c'è il loro sindaco, Domenico Lucano, che da tre mandati porta avanti un'amministrazione che è diventata un modello e un esperimento all'avanguardia. Riace fino a poco tempo fa si stava spopolando ma poi sono arrivati i migranti: "Nel 1998 a Riace c'è stato uno sbarco nel nostro mare: sono arrivati qui diversi profughi che venivano dal Kurdistan. All'epoca non c'era tutta questa attenzione sulla questione immigrazione. Con quelle persone e abbiamo deciso di far scattare un meccanismo di solidarietà collettiva".
Da allora quello che era un paese con un'età media alta e destinato a spopolarsi, come purtroppo molte località del nostro meridione, ha ritrovato vita: "Abbiamo iniziato ad accogliere i profughi nelle strutture parrocchiali. Piano piano loro sono diventati cittadini e amici. La nostra non è un'integrazione, ma un'interazione". Anche i figli del sindaco non vivono a Riace ma il paese ha riaperto la sua scuola e le sue botteghe da quando sono arrivati i migranti: per le strade tante sono le coppie miste e i bimbi dalla pelle scura che parlano italiano con perfetto accento reggino.
Così si è fatto fronte anche alla crisi: accogliere significa anche creare lavoro, dare vita a nuovi modelli economici, solidali, basati sui valori contadini che sono parte integrante della storia del paese famoso nel mondo per i suoi bronzi e oramai non solo per quello. Qui sono venuti dall'estero per compredere quello che sindaco e popolazione hanno fatto, visto che il modello Riace è un esempio di come si possa fare fronte all'emergenza immigrazione senza che i conflitti sociali prendano il sopravvento e si generino sentimenti di odio: "Noi stavamo morendo: molta della nostra popolazione aspettava l'inevitabile rassegnata. Poi dal mare sono arrivati i migranti e abbiamo ricominciato" ci spiega Domenico Lucano.
Ma non tutto è stato così semplice: durante una campagna elettorale di Lucano in paese è arrivata la ndrangheta. Sull'insegna di "Città Futura", l'associazione fondata dal sindaco, ci sono due buchi di proiettile. Ma l'impegno della cittadinanza non si è fermato nonostante le intimidazioni: "Siamo in un territorio che è un contenitore sociale molto complesso. Con il mondo delle mafie siamo su due piani culturali ed etici completamente distanti. Ma anche il loro sistema opprimente si evolve, sempre con prepotenza, imponendosi".
Nello stesso Paese dove soffia il vento xenofobo portato da Matteo Salvini e dal suo partito, il sindaco di un piccolo paese è riuscito a dare vita a un modello che non ha eguali: "Non capisco come Salvini possa fare politica e usare quel linguaggio, carico di odio e senza umanità. Fare politica significa mettersi al servizio della gente, soprattutto di chi è più debole ed emarginato". Quelle di Lucano non sono parole vuote: dopo la terribile strage nel canale di Sicilia che ha fatto più di 700 vittime, è stato proprio il suo Comune a offrirsi per accogliere i sopravvissuti, trasferti nel Cara di Mineo, già spesso protagonista delle cronache per le proteste dei rifugiati accolti e per l'eccessivo sovraffollamento della struttura: "C'era un problema e abbiamo pensato a una soluzione possibile". Il sindaco parla semplice e chiaro e quello che sta portando avanti è un modello che ha attirato l'attenzione soprattutto al di fuori dei nostri confini: a Riace sono arrivati studiosi e ricercatori da tutta Europa per comprendere come Lucano ce l'abbia fatta.