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Venerdì, 19 Aprile 2024
La donna morta a Trieste / Trieste

Liliana Resinovich, le tracce sullo spago e l'ipotesi del suicidio: cosa non torna

Il Dna trovato sul cordino non appartiene né all'amico Claudio, né al vicino di casa e neppure al marito Sebastiano. Che ora dice: "Qualcuno mi deve delle scuse". Riprende forza la pista del gesto estremo, ma non mancano gli elementi anomali

È un mistero ancora irrisolto quello della morte di Liliana Resinovich, la 63enne scomparsa da casa lo scorso 14 dicembre e ritrovata senza vita il 5 gennaio nel boschetto dell'ex ospedale psichiatrico di San Giovanni a Trieste. Quella mattina Liliana era in casa, avrebbe dovuto raggiungere l'amico Claudio Sterpin per aiutarlo nelle faccende di casa come ogni settimana. Poco dopo le 8 però gli ha scritto un messaggio per avvisarlo che avrebbe tardato perché aveva necessità di passare in un negozio di telefonia, negozio dove però non è mai stata. L'ultima ad avvistarla è una commerciante della zona, che ha dichiarato di aver visto Liliana davanti al suo negozio tra le 8 e le 9. Poi della donna si è persa ogni traccia. Fino al 5 gennaio quando il suo corpo è stato ritrovato avvolto in posizione fetale in due sacchi neri e con due sacchetti di plastica intorno alla testa e stretti al collo. 

Le tracce sul cordino

Sul laccio usato per stringere i due sacchetti di nylon in cui aveva la testa infilata quando è stata trovata senza vita, è stata trovata una traccia del Dna della vittima, un elemento che potrebbe far pensare che la donna si sia suicidata, stringendo da sola il cordino al collo dopo aver infilato la testa nei sacchetti. Sul medesimo cordino è stata però rilevata un'altra traccia di Dna, non di Liliana, ma un residuo genetico, incompleto, di un maschio. Dalle analisi è però emerso che la debole traccia trovata sullo spago non appartiene né al marito Sebastiano Visintin, né all'amico Claudio Sterpin e nemmeno al vicino di casa, l'ex carabiniere Salvatore Nasti, nessuno dei quali è attualmente sul registro degli indagati.

Per questo gli inquirenti non escludono del tutto la pista del suicidio, visto che i sacchi neri in cui era stata trovata avvolta la donna, uno infilato dalla testa e l'altro dai piedi, non erano chiusi. Ci si attendeva un riscontro dal cordino di nylon, ma su quel cordino ci sono soprattutto le impronte della vittima. Per questo nelle ultime ore ha ripreso forza l'ipotesi del gesto estremo.

Il marito di Liliana: "Qualcuno mi deve delle scuse"

Sebastiano Visentin, marito della 63enne, continua però "a credere difficile che Lilly si sia tolta la vita, e per di più in quel modo".  "È un gesto che non appartiene ai modi della persona che conoscevo e che ho amato per 32 anni" ha detto l'uomo intervistato dal 'Corriere della Sera'. "Ma gli elementi che ha la Procura portano in quella direzione". E poi: "Non mi sembra possibile che Liliana abbia escogitato un simile sistema per togliersi la vita" ha aggiunto Visentin che poi, parlando dei sospetti che sono stati avanzati su di lui, ha detto: "Qualcuno mi deve delle scuse". D'altra parte i risultati del Dna lo scagionano: quelle tracce trovate sul cordino non sono né del marito Sebastiano, né dell'amico Claudio, né del vicino di casa Salvatore.

I punti oscuri del giallo

Ma in un giallo così intricato ogni elemento deve essere valuto con la massima attenzione. I punti oscuri sono ancora tanti. E d'altra parte anche la tesi del suicidio presenta molti aspetti contraddittori, a partire dalla scomparsa improvvisa della donna (che ha lasciato in casa i due cellulari) fino alle modalità del gesto, certamente anomale.  

Intanto proseguono le indagini sui reperti: gli inquirenti stanno passando allo scanner elementi come gli indumenti intimi che indossava la donna al momento del ritrovamento, un guanto nero in tessuto elastico, una mascherina chirurgica. Non sono state trovate tracce di violenza, armi da taglio, fori di proiettile sul suo cadavere. Nulla che possa essere la chiave di un lungo giallo. Non solo: Liliana Resinovich non aveva assunto droghe né farmaci tali da aver provocato uno stato di incoscienza al momento del decesso. I test effettuati, riferisce la nota della Procura di Trieste, sono stati "sia di tipo immunochimico su sangue e urine, sia di tipo cromatografico in spettrometria di massa tandem per tutte le altre matrici biologiche. Le analisi tossicologiche immunochimiche di screening hanno dato esito negativo". Le indagini dunque sono a un punto morto. Il mistero della morte di Liliana si fa anzi sempre più fitto. 

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