Morire in casa ai tempi del coronavirus
Altro che calo dei reati gravi durante il lockdown: i numeri del Viminale raccontano un'altra realtà. Ne abbiamo parlato con Giorgio Beretta (Opal). Servono più attenzione alle situazioni "fragili" (l'insicurezza è tra le mura di casa, e le donne sono le più a rischio) e più trasparenza sul numero di armi legalmente detenute in Italia
Le nostre città sono sicure: il pericolo molte volte è tra le mura di casa. L'allarme sicurezza in Italia non c'è, non esiste, non è suffragato dai numeri, nonostante alcuni partiti politici spingano ciclicamente su questo tasto. C'è invece una questione aperta diversa, e riguarda le donne uccise dai loro "cari", spesso con armi legalmente detenute. L'ultimo dossier del Viminale sul tema sicurezza, diffuso come sempre a ferragosto, nel cuore dell'estate, per fare il punto su un anno di attività del dicastero, lo mette in chiaro: parlare di allarme criminalità non ha molto senso. Da agosto 2019 a luglio 2020 i delitti in generale sono calati del 18,2 per cento rispetto all'anno precedente. Gli omicidi sono in calo (-16,8 per cento), e quelli di criminalità comune e organizzata sono anch'essi calati fortemente: 19 nell'ultimo anno (erano 28 l'anno precedente).
Come il lockdown ha fatto male alla nostra sicurezza
Non bisogna stancarsi mai di porre all'attenzione del dibattito pubblico però il fatto che più della metà degli omicidi in Italia avviene nel contesto familiare-affettivo: su un totale di 278 omicidi sono stati 149 gli omicidi familiari. Tra questi, ben 58 omicidi, cioè quattro omicidi familiari su 10, si sono verificati proprio nel trimestre di lockdown, in cui sono state 44 le donne uccise, a fronte di 14 uomini.
Se si vanno a prendere in esame gli omicidi avvenuti nel solo periodo del lockdown le vittime per il 75,9 per cento sono donne. Proprio sul periodo di lockdown ha voluto vederci chiaro Giorgio Beretta, analista dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL), che ha analizzato i dati del dossier. Perché i numeri contano e raccontano, ancora di più quando i numeri e le percentuali sono quelli che riguardano vite umane: familiari, parenti, amici e conoscenti.
Abbiamo contattato Giorgio Beretta, e i numeri che fornisce a Today.it con la sua articolata analisi dei dati resi pubblici dal Ministero dell'Interno si prestano a molte considerazioni: nei 12 mesi scorsi, in Italia ci sono stati 0.76 omicidi al giorno (0.62 nel periodo senza lockdown, 1.22 nel periodo del lockdown - il doppio in pratica). Per quel che riguarda gli omicidi in ambito familiare/affettivo, si va invece dagli 0.33 omicidi al giorno nel periodo senza lockdown, agli 0.67 nel periodo del lockdown. E quando sono le donne a essere le vittime degli omicidi in ambito familiare come stanno le cose? I numeri sono ancora più pesanti. Si è passati dagli 0.22 omicidi al giorno nei mesi senza lockdown allo 0.51 al giorno durante i mesi più duri dell'emergenza sanitaria: un aumento del 135 per cento. Paragonando i mesi primaverili – in cui ci sono state le restrizioni più dure – con il restante periodo dei 9 mesi senza lockdown, dal dossier del Viminale emerge anche che rapine e furti sono stati in media di più nei mesi di lockdown: dalle 50 rapine al giorno nel periodo senza restrizioni, alle 71 del lockdown. E per quel che riguarda i furti l'aumento nei mesi di lockdown è stato del 13 per cento. I calcoli sono stati fatti a partire dalla tabella diffusa ufficialmente e pubblicamente dal Viminale, che pubblichiamo di seguito, e che si basa su 87 giorni di lockdown.
Se è quindi vero che i delitti in generale sono in calo "anno su anno" (cioè rispetto all'anno precedente), se si approfondisce il discorso e si punta la lente di ingrandimento solo sui mesi di chiusura, vien fuori ben altro. "Pur suscitando qualche perplessità, i dati del Viminale dimostrano che il lockdown – dice a Today.it Giorgio Beretta – non solo non ha "fatto bene" alla sicurezza, ma ha aumentato i reati e l'insicurezza. E le donne sono state la fascia più colpita. I dati del Viminale, non solo smentiscono le considerazioni diffuse da diversi media secondo cui vi sarebbe stato un calo dei reati per l'effetto Covid, ma soprattutto evidenziano la necessità di maggior attenzione alle situazioni più a rischio che sono proprio quelle delle donne in famiglia e richiedono misure più adeguate di individuazione delle criticità, di protezione delle donne e di allontanamento di mariti e conviventi violenti".
Licenze facili e armi legali: serve più trasparenza
Altro tema è quello degli omicidi commessi con armi detenute con regolare licenza, un dato che però il Viminale non riporta. Li rende noti l'Osservatorio OPAL che da alcuni anni pubblica un database degli omicidi perpetrati con armi legalmente detenute. Nell'ultimo anno a fronte di 104 omicidi di donne e femminicidi riportati dal Viminale, ben 27 sono stati commessi con armi legali, documenta OPAL. Più di un omicidio su quattro in ambito familiare/affettivo viene dunque commesso in Italia con armi nelle mani di legali detentori di armi. E’ ormai una tendenza, va fatto qualcosa.
Del problema delle armi detenute per uso sportivo (tutto da dimostrare visto che – come ci dice Beretta – "più della metà dei detentori di questa licenza non pratica alcuna disciplina sportiva") e per scopi difensivi, ma utilizzate poi per uccidere la moglie, la convivente o un vicino di casa, abbiamo già parlato a lungo in passato.
Una buona idea per affrontare il tema in maniera organica e lungimirante sarebbe quella di partire "dalle basi", all'insegna della trasparenza. Il Viminale non ha mai reso noto il numero di armi legalmente detenute in Italia (le stime variano dai 10 ai 12 milioni), ma non rende pubblico nemmeno il numero complessivo di tutte le licenze rilasciate ed in vigore: è un problema, lo diciamo da anni. Se il Viminale dall'anno prossimo fornirà anche l'incidenza delle armi legali sugli omicidi (non dovrebbe essere una missione impossibile) sarà un primo passo per verificare l'efficacia delle attuali norme sulla detenzione nel nostro Paese. Il dato è importante considerata la crescente incidenza di questi omicidi negli ultimi anni.
L’Italia è il secondo maggior produttore al mondo (lo ripetiamo, al mondo) di "armi comuni". Tuttavia, e OPAL questo lo evidenzia da tempo, le aziende più rappresentative e le loro associazioni di categoria non solo non forniscono dati sulle proprie vendite in Italia e all’estero, ma tendono a sottostimare fortemente la destinazione per corpi di sicurezza pubblici e privati della loro produzione e ancor più la responsabilità circa la diffusione delle armi a regimi repressivi che commettono gravi violazioni dei diritti umani.
Tale opacità "ha pesanti conseguenze sul dibattito pubblico nel nostro Paese intorno ai molti problemi che coinvolgono le armi da fuoco, la loro produzione ed esportazione, il loro uso" – diceva qualche tempo fa Piergiulio Biatta, presidente di OPAL. "Si pensi ad esempio alla mancanza di dati ufficiali e pubblici da parte del Viminale sulle licenze per armi, sul numero di armi legalmente detenute in Italia e sui crimini commessi da legali detentori di armi, tra cui sopratutto gli omicidi e i femminicidi. Si tratta di informazioni di interesse pubblico che il nostro Osservatorio chiede da anni insieme alla Rete italiana per il disarmo e a molte altre associazioni. Una mancanza che è inspiegabile e ingiustificabile".
Di mezzo c'è, stavolta per davvero, la sicurezza di tutti noi. Meno armi in circolazione e più trasparenza su quante siano, con quale tipo di licenza vengano detenute, e quale sia l'incidenza delle armi legali nei fatti di sangue che quotidianamente riempiono le pagine di cronaca. Non sembrano richieste fantascientifiche. Anzi, rappresentano le basi, il minimo comun denominatore del confronto per un paese che voglia affrontare con serietà il problema della sicurezza. Stavolta per davvero.