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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca

Le storie delle donne uccise dalla 'ndrangheta

A Milano si inaugura un giardino in memoria di Lucia Fantasia, trucidata nel 1975 dai killer mentre il marito carabiniere indaga sui traffici di droga delle prime 'ndrine calabresi nel capoluogo lombardo. Come lei tante altre donne rimaste vittime della criminalità organizzata: ritorsioni, delitti d'onore, punizioni per aver infranto il muro dell'omertà. Perché il mito dei clan che non uccidono le donne non esiste

Luisa Fantasia aveva 32 anni quando fu uccisa. In casa con lei c'era la figlia piccola di appena 18 mesi. Suo marito, il brigadiere dei carabinieri Antonio Mascione, era fuori quando nell'appartamento fecero irruzione due sicari, che la uccisero brutalmente. Questo succedeva il 14 giugno 1975, a Milano, dove Luisa era arrivata insieme dalla Puglia insieme al marito, che indagava sotto copertura sull'arrivo di una grossa partita di eroina di una delle prime 'ndrine calabresi presenti nel capoluogo lombardo. Proprio a Milano, 46 anni dopo, è stato inaugurato un giardino che porta il nome nel quartiere dove si era trasferita insieme al marito dalla natia San Severo. Un modo per far sì che il nome e la storia di Luisa Fantasia continuino a vivere, dopo anni di silenzio intorno a questa vicenda. Alla cerimonia di inaugurazione, insieme alle autorità, c'erano anche i due figli del brigadiere Mascione: Cinzia, la bimba che al momento del delitto era in casa con la madre, e Pietro Paolo, nato dalle seconde nozze del padre e oggi agente di polizia e vicepresidente nazionale dell’associazione ‘Ultimi’ del prete anti-camorra don Aniello Manganiello.

Qualche anno fa l'associazione daSud pubblicò un dossier dal titolo "Sdisonorate. Le mafie uccidono le donne". Un elenco vasto e dettaglio, senza la pretesa di essere esaustivo, nato principalmente per "sfatare un'assurda credenza: che i clan in virtù di un presunto codice d'onore non uccidono le donne", quando la storia e la cronaca dimostrano invece il contrario. Le donne sono state uccise dalle mafie "per l'impegno politico, sono rimaste vittime di delitti d'onore, sono state suicidate, sono state oggetto di vendette trasversali, sono morte per un accidente, sono rimaste incastrate dentro una situazione familiare e mafiosa da cui non sono riuscite a uscire". 

Le donne uccise dalla 'ndrangheta

Nell'elenco di "Sdisonorate" Lucia Fantasia non c'è. Ci sono però altre donne, altre storie, altre violenze, raccolte in ordine cronologico a partire da Emanuela Sansone, 17 anni appena, uccisa dai clan probabilmente per ritorsione a Palermo il 27 dicembre 1896. Nel dossier tante sono le vittime della 'ndrangheta, come lo fu Luisa Fantasia.

Una striscia di sangue che prosegue di decennio in decennio. Vittime sono madri di famiglia, spesso donne e bambine che si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato e vengono colpite da proiettili vaganti. Ma molte sono le donne uccise per vendetta. Come Maria e Natalina Stillitano, due ragazze di 22 e 21 anni uccise a Gioia Tauro per vendetta nel 1962 perché lo zio era ritenuto il responsabile del ferimento di un membro di una cosca rivale.

Ci sono poi i delitti d'onore, come quello nel 1986 di Luciana Arcuri, uccisa insieme all'amante Ferdinando Fagà: lui sposato con due figli, la moglie di uno 'ndranghetista in carcere. O quello di Francesca Familiari l'anno successivo: spirito libero, ribelle, avventurosa, uccisa dal fratello che confessa di averlo fatto per vendicare l'onore della famiglia macchiato proprio da questa sua libertà. Annunziata Pesce, di Rosarno, nel 1980 paga con la vita aver tradito il marito con un carabiniere. Di lei si perdono le tracce, sparisce nel nulla, finché vent'anni dopo una testimone di giustizia rivela che fu uccisa da un cugino alla presenza del fratello maggiore, come vuole il codice "etico" delle 'ndrine. L'anno successivo, nel 1981, un'altra scomparsa e un altro delitto, quello di Rossella Casini. Toscana, si era innamorata di un ragazzo calabrese, Francesco Frisina, un giovane studente universitario coinvolto nella faida tra i Gallico e Parrello-Condello. Insieme parleranno con i magistrati, violando la legge dell'omertà, e per lei – una forestiera – questo è una condanna a morte. Tredici anni dopo un pentito rivela che Rossella è stata violentata, uccisa, fatta a pezzi e gettata in mare dai Frisina per aver convinto il fidanzato a diventare testimone di giustizia (lui sarà risparmiato). I quattro imputati per la sua morte saranno assolti insufficienza di prove, ma i giudici esprimeranno una netta condanna mortale circa il loro coinvolgimento nell'omicidio della giovane fiorentina. Concettina Labate, della famiglia dei "Ti mangiu", si sposa nel clan, mette al mondo cinque figli, poi un giorno decide di cambiare vita e mollare tutto con un uomo più giovane: muore a 35 anni, raggiunta da colpi d'arma da fuoco mentre è in auto a Reggio Calabria.

Lucia Precenzano è la moglie di Salvatore Aversa, agente di polizia esperto che dà la caccia agli 'ndranghetisti nella zona di Lamezia Terme: moriranno insieme il 4 gennaio 1992, vittime di un agguato da parte di due killer che hanno agito a volto scoperto; nel corso degli anni la loro tomba sarà profanata più volte.

Angela Calabria muore nel 1994. Moglie di un membro di spicco della 'ndrangheta reggina, a 25 anni è già madre di quattro figli. Quando resta incinta di un altro uomo decide di abortire. Per aver macchiato l'onore della famiglia, viene "suicidata" da un cognato. Nel 1997 Mariangela Ansalone di anni ne aveva 8: era in auto insieme ai nonni, la mamma e il fratellino a Oppido Mamertina, quando un commando di killer spara contro di loro, sbagliando auto.

Lea Garofalo ha trovato la morte a Monza, nel 2009, rapita, tortura, uccisa e poi sciolta nell'acido: nel 2002 aveva deciso di diventare collaboratrice di giustizia. Nel 2011 Santa "Tita" Boccafusca si presenta ai carabinieri di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia. Anche lei viene da una famiglia potente, anche lei vuole cambiare vita e parlare con i magistrati. Qualche tempo dopo muore suicida dopo aver ingerito dell'acido: la sua resta una morte sospetta. Anche Maria Concetta Cacciola muore bevendo l'acido: anche lei aveva provato a collaborare con la giustizia, nella speranza di strappare i figli a un futuro diverso. Sotto protezione a Genova, tornò a Rosarno e pochi giorni dopo il suo ritorno in Calabria fu trovata morta in bagno.

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