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Giovedì, 28 Marzo 2024
Trattativa Stato - Mafia

Mafia, se le stragi non bastano: "Siringhe infette di Aids sulle spiagge di Rimini"

Dopo la strage di Capaci, Cosa Nostra aveva deciso di colpire il patrimonio dello Stato per convincere le istituzioni ad accettare il "papello". La confessione di Brusca: "Nel mirino la torre di Pisa o le spiagge di Rimini"

ROMA - Dopo i nomi eccellenti, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino su tutti, la mafia aveva deciso di colpire gli italiani. Tutti gli italiani. L'obiettivo, sempre lo stesso: convincere lo Stato a scendere a patti, a rispettare gli accordi contenuti nel famoso "papello". I modi scelti, sempre più cruenti, sempre più tragici.

Cosa Nostra dopo la strage di Capaci aveva progettato un "cambio di strategia", decidendo di colpire il patrimonio dello Stato attraverso "un attentato alla torre di Pisa o depositando siringhe infettate dall'Aids sulle spiagge di Rimini"

La confessione è arrivata dal collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, ascoltato come teste in videoconferenza dal carcere nel processo a Milano a carico di Filippo Marcello Tutino, ritenuto il basista della strage di via Palestro del 27 luglio 1993. Dopo l'arresto del boss Totò Riina nel 1993, secondo quanto ha riferito Brusca, imputato nel processo sulla trattativa Stato-Mafia, la strategia stragista venne "portata avanti da Leoluca Bagarella".

Secondo il collaboratore di giustizia, a suggerire il cambio di modus operandi, decidendo di colpire non più le istituzioni ma il patrimonio artistico italiano, sarebbe stato l'ex estremista di destra Paolo Bellini. "Sospettavamo che Bellini facesse parte dei servizi segreti, abbiamo scoperto che aveva contatti con i carabinieri", ha spiegato Brusca rispondendo alle domande del difensore di Tutino, l'avvocato Flavio Sinatra.

Martedì, in un'udienza dello stesso processo, sono stati ascoltati come testi anche altri collaboratori di giustizia, come Gioacchino La Barbera e Baldassarre Di Maggio. "Bellini diceva di avere contatti con un generale dei carabinieri - ha riferito La Barbera - che in cambio dell'aiuto per recuperare alcune opere d'arte rubate in Sicilia, avrebbe potuto fare dei favori ai detenuti". Per avere "maggior potere di trattativa con lo Stato", Bellini avrebbe quindi "suggerito di dare un segnale" attraverso attentati a musei e chiese. 

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