Martina Patti ha ucciso la figlia per la sindrome di Medea?
Dagli interrogatori della donna emergono rancori e gelosie verso l'ex compagno e la sua nuova fidanzata, ma lei non ha mai fornito il movente dell'omicidio di Elena Del Pozzo. Le possibili cause e il parere degli psichiatri
Perché Martina Patti, 23 anni, ha ucciso Elena Del Pozzo, la figlioletta di 4 anni (ne avrebbe compiuti 5 a luglio) trovata morta ieri nei pressi della sua casa di Mascalucia, in provincia di Catania? Dopo aver denunciato un sequestro mai avvenuto per depistare le indagini, la donna fermata con le accuse di omicidio premeditato pluriaggravato e soppressione di cadavere ha fatto ritrovare il corpo della bimba, ha confessato l'omicidio a carabinieri e procura, ma non ha fornito finora il movente del delitto. Cosa può scattare nella testa di un genitore per portarlo a compiere un atto così crudele e "contro natura"? La piccola Elena è l'ultima vittima, ma non è di certo l'unica. L'ultimo rapporto sugli infanticidi in Italia di Eures (un'associazione no profit che si occupa di ricerche economiche e sociali), indica che tra il 2000 e il 2014 sono stati 379 i figli uccisi da un genitore. Dati più recenti, ma non ancora del tutto aggiornati, parlano di quasi 500 bambini uccisi da una mamma o un papà.
Martina Patti: le ipotesi sul movente dell'omicidio della figlia Elena Del Pozzo
Dalla separazione col marito, Alessandro Nicodemo Del Pozzo, 25 anni, Martina Patti e la figlia Elena vivevano da sole. La donna aveva faticato a chiudere serenamente con il suo passato, anche se aveva un nuovo fidanzato. Al marito forse non perdonava il fallimento della loro storia, il fatto che si fosse rifatto una vita con un'altra donna e che la piccola Elena si stesse affezionando alla sua nuova compagna. "C'erano state gelosie e violenze - ha detto il comandante del reparto operativo dei carabinieri di Catania, Piercarmine Sica - e una delle possibili ragioni che hanno portato Martina Patti a compiere il gesto può essere proprio la gelosia". La bambina potrebbe essere stata uccisa dalla madre "per via di una forma di gelosia nei confronti dell'attuale compagna dell'ex convivente", in quanto non tollerava che alla donna "vi si affezionasse anche la propria figlia", ha ricostruito la procura di Catania.
Dalle indagini svolte finora è emerso "un triste quadro familiare costituito da due ex conviventi che, a prescindere dalla gestione apparentemente serena della figlia Elena, avevano allacciato nuovi legami e non apparivano rispettosi l'un l'altro - scrive ancora la procura di Catania -. In particolare, la donna, nei confronti della quale nel corso della nottata è stato contestato il reato di false informazioni al pubblico ministero, a fronte delle continue sollecitazioni da parte degli inquirenti e delle contestazioni all'inverosimile versione fornita, ha ceduto soltanto nella tarda mattinata allorquando i carabinieri della sezione investigazioni scientifiche si apprestavano ad effettuare i rilievi dell'abitazione presso cui la stessa risiedeva unitamente alla figlia".
Messa alle strette, Martina Patti ha indicato ai carabinieri il luogo in cui rinvenire il corpicino della figlia, sotterrato in un campo vicino a via Euclide di Mascalucia. Poi, sentita presso il comando provinciale dei carabinieri alla presenza di magistrati della procura di Catania, ha confessato il delitto, precisando di averlo portato a termine in maniera solitaria, nella sua abitazione a Mascalucia, dopo essere andata a prendere Elena all'asilo, utilizzando un coltello da cucina e alcuni sacchi neri di plastica per nascondere il corpo nella terra. Il corpicino della bambina, parzialmente interrato e occultato in alcuni sacchi di plastica, all'esito dell'ispezione medico legale ha evidenziato molteplici ferite da armi da punta e taglio alla regione cervicale e intrascapolare. La presunta omicida è stata condotta nel carcere di Catania.
Torniamo alla domanda iniziale: cosa può scattare nella testa di un genitore per portarlo a compiere un atto così crudele? Tra i moventi di un "figlicidio" ci possono essere patologie psichiatriche, sindrome di Medea, maltrattamenti, abusi e problemi relazionali. Claudio Mencacci, direttore emerito del dipartimento di neuroscienze all'Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano, spiega che è possibile che la donna abbia agito sulla base di quello che viene definito "complesso di Medea", un impulso omicida che ha come obiettivo finale la sofferenza dell'ex compagno. "Parlerei piuttosto di intenzionalità non premeditata. Ora si dovrà capire se la donna abbia un disturbo di personalità borderline. Ma possiamo presumere, anche stando alle parole dei familiari, che ci fosse una sorta di abitudine al maltrattamento nei confronti della figlia, unita a forte tensione emotiva", ha spiegato l'esperto.
Cos'è la sindrome di Medea?
Saranno ulteriori interrogatori a chiarire i reali motivi di questa tragedia. Ma perché si parla di "sindrome di Medea", strettamente legata al "complesso di Medea", e di cosa si tratta? Nella tragedia greca Medea è una donna che viene lasciata dal marito e per vendicarsi uccide i figli. Il suo intento è quello di privarlo di una discendenza. La sindrome prende il nome proprio da questa storia antica. Secondo gli psicologi, si tratta di un comportamento materno o paterno volto alla distruzione del rapporto tra uno dei due coniugi e i figli in seguito alle separazioni di carattere conflittuale, come forma di vendetta. Secondo gli esperti, inoltre, i genitori possono assumere un "atteggiamento alienante", caratterizzato cioè da un odio patologico esteso al coniuge e persino ai figli, per fare in modo che i figli stessi "preferiscano" un genitore rispetto all'altro. Si configura così una sorta di gelosia patologica, che sfocia nell'intensificazione della passione, in quanto il geloso subisce e poi agisce, arrivando anche all'uccisione del figlio, strumento di potere e di rivalsa sul coniuge.
Genitori killer, quanto sono diversi da noi i mostri da prima pagina?
Secondo Lucia Ercoli, coordinatrice dell'osservatorio sui diritti dei minori vulnerabili, "la vicenda della piccola Elena trovata morta e uccisa dalla mamma ci ripropone nella sua drammaticità la necessità di ripensare l'impegno di tutti, istituzioni e società civile, accanto ai minori e alle loro famiglie, spesso fragili e in difficoltà. Il disagio che sfocia in violenza non viene intercettato perché sui territori sono poche le 'sentinelle' che dovrebbero tutelare soprattutto i più piccoli. Penso agli assistenti sociali cronicamente sotto numero e male distribuiti. Ora è il momento del dolore, ma anche della consapevolezza - aggiunge - che c'è bisogno urgente di un cambio di passo a livello nazionale sulla tutela dei minori. Non possiamo sempre versare lacrime da coccodrillo. Nel Pnrr vorremmo vedere risorse per moltiplicare le 'antenne' sui territori per tutelare i più piccoli e per intercettare il disagio famigliare sempre più crescente", conclude Ercoli.
Parlando dell'uccisione della piccola Elena, Massimo Di Giannantonio, presidente della società italiana di psichiatria (Sip), dice che "un figlicidio è il cortocircuito più drammatico di ciò che può accadere nella mente di un essere umano, in particolar modo di un essere umano di sesso femminile, di una madre. Ed è sempre bene dire che di solito queste vicende non avvengono mai per caso, mai da un minuto all'altro, mai senza nessuna indicazione pregressa - sostiene l'esperto -. Suonano come un monito per la società. Per andare a vedere gli elementi che indicavano una sofferenza e un disagio così gravi, elementi che certamente esistevano e certamente non sono stati colti, occorrerà scavare nella storia del passato prossimo, oltre che del passato remoto di questa donna".
L'esperto prova a spiegare cosa può succedere nella mente di una mamma che arriva a compiere un gesto inimmaginabile: "La relazione fondante dell'esistenza è la relazione tra la madre e il figlio. Quando questa relazione fallisce, diventa distruttiva, drammatica e arriva al figlicidio, è come se si compisse la rivoluzione, la tragedia, la costruzione del nonsenso più grave dell'essere umano. Per comprendere meglio quali possono essere le ragioni di una tragedia di questa dimensione, dobbiamo ricorrere a due categorie: quella della psicopatologia e quella dell'evento che scatena la psicopatologia".
E quindi "nella storia di questa donna" andrà ricostruito "quali sono le tappe del neurosviluppo, quali sono i traumi subìti, quali le complicanze ambientali, familiari, sociali, economiche che ne hanno determinato una condizione così grave di discontrollo degli impulsi e di incapacità a reggere il rapporto con la realtà e quindi con lo stesso frutto del proprio grembo, che tipo di psicopatologia nella storia evolutiva questa donna ha subito. E poi qual è il "trigger", l'elemento finale drammatico che ha scardinato i controlli, ha annullato la razionalità e portato a questo gesto estremo. Questo è il lavoro dello psicopatologo, del tecnico della sofferenza psichica dell'uomo", spiega l'esperto.
Ma Di Giannantonio punta l'attenzione anche su un altro elemento doloroso di questa storia. A colpire lo psichiatra è il fatto che "questa persona ha inventato delle scuse, ha accusato falsamente tre personaggi, ha pensato di occultare le prove e deviare il corso delle indagini". Per capire perché "dobbiamo entrare nel mondo delirante del senso di colpa, del tentativo di allontanare da sé il dolore e la percezione drammatica dell'enormità del gesto compiuto, che però, di fronte a delle contestazioni del mondo della realtà - l'interrogatorio degli inquirenti, gli elementi di tracce filmate, testimonianze di persone, contraddizioni nelle dichiarazioni - hanno reso immediata la confessione".
È come se - analizza Di Giannantonio - il peso della colpa e il peso insostenibile del gesto drammatico compiuto "abbiano portato a una confessione che diventa una richiesta di punizione e di condanna". Quello che è successo è qualcosa di "così enorme" che questa persona "pagherà per sempre", osserva l'esperto che solleva anche il tema del ruolo protettivo che la società può avere. "Occorre dire anche che la gravidanza per una donna è una sfida drammatica al suo assetto neurobiologico, neuropsichico e interpersonale e intrapersonale. Bisognerà porre un'attenzione maggiorata a quelle che possono essere le conseguenze di traumi, cambiamenti e paure delle quali molto spesso queste persone non hanno un'interlocuzione né corretta né adeguata", conclude.