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Giovedì, 18 Aprile 2024
In Cassazione

Martina Rossi, confermate le condanne: "Non è stato un suicidio"

Tre anni di reclusione per Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni: la Cassazione ha confermato le condanne per i due aretini, accusati di tentata violenza sessuale di gruppo in relazione alla morte della studentessa 20enne deceduta nel 2011 a Palma di Maiorca

La Cassazione ha confermato le condanne a 3 anni per Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, i due aretini condannati per tentata violenza sessuale di gruppo in relazione alla morte di Martina Rossi, la studentessa ventenne genovese deceduta il 3 agosto 2011 precipitando dalla terrazza del sesto piano dell'hotel 'Santa Ana' a Palma di Maiorca mentre, secondo l'accusa, cercava di fuggire da un tentativo di stupro. È la decisione dei giudici della Quarta sezione penale della Corte di Cassazione che hanno dichiarato inammissibili i ricorsi dei due imputati. La sentenza è arrivata dopo quasi due ore di camera di consiglio.

Martina Rossi, la Cassazione conferma le condanne

I supremi giudici hanno confermato la sentenza del processo di appello bis di Firenze dello scorso 28 aprile come chiesto dal sostituto procuratore generale Elisabetta Ceniccola nel corso della sua requisitoria oggi in udienza. In primo grado davanti al Tribunale di Arezzo il 14 dicembre 2018 Vanneschi e l'amico Albertoni vennero condannati a 6 anni di reclusione per tentato stupro e morte in conseguenza di altro reato. Il 9 giugno 2020 la Corte d'appello di Firenze li aveva poi assolti "perché il fatto non sussiste". La Cassazione però il 21 gennaio scorso ha annullato la sentenza di assoluzione disponendo un nuovo processo per i due imputati. L'appello bis a Firenze lo scorso 28 aprile si è concluso con la condanna a 3 anni di Vanneschi e Albertoni per tentata violenza sessuale di gruppo, essendosi prescritto l'altro reato. Per i giudici della Corte d'appello di Firenze, come si legge nelle motivazioni del processo bis, appare "provato al di là di ogni ragionevole dubbio che Martina Rossi, la mattina del 3 agosto 2011, precipitò dal terrazzo della camera 609 dell'albergo dove alloggiava, nel tentativo di sottrarsi a una aggressione sessuale perpetrata a suo danno dagli imputati".

Il papà di Martina: "Chi fa del male a una donna non può passarla liscia"

"Non ci deve essere più nessuno che possa permettere di far del male a una donna e passarla liscia. Ora posso dire a Martina che il suo papà è triste perché lei non c'è più, ma anche soddisfatto perché il nostro paese è riuscito a fare a giustizia": questo il commento di Bruno Rossi, papà di Martina Rossi, dopo la sentenza della Cassazione che ha confermato le due condanne a 3 anni per Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni

"Fuggì da uno stupro, non fu suicidio"

Quello di Martina Rossi non è stato un suicidio ma il tentativo estremo di sottrarsi a una violenza sessuale di gruppo. Questo il senso della requisitoria del sostituto procuratore generale di Cassazione Elisabetta Ceniccola che aveva chiesto di confermare la condanna a 3 anni per Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, i due aretini condannati per tentata violenza sessuale di gruppo al processo di Firenze sulla morte della ventenne genovese, deceduta il 3 agosto 2011 precipitando dalla terrazza del sesto piano dell'hotel 'Santa Ana' a Palma di Maiorca.

"La compresenza di Vanneschi ha determinato il rafforzamento del proposito criminale di Albertoni e ha influito negativamente sulla possibilità di difesa di Martina, che si è sentita in soggezione e impossibilitata a difendersi - ha detto il sostituto pg in aula in merito all'accusa di tentato stupro di gruppo- Fatto che ha impedito alla ragazza di uscire dalla stanza usando la via più facile, la porta. Per questo Martina ha cercato di fuggire, mettendo a rischio la sua vita, scavalcando la balaustra del terrazzo, ma non si è gettata con intento suicida" ha sottolineato. E ha aggiunto: "Martina quando è morta non aveva i pantaloncini, che non sono stati ritrovati, come anche le ciabatte". E ancora, ci sono "i graffi sul collo di Albertoni, evidenti ed emersi in tutti i diversi gradi del processo" come "i segni sulla vittima, incompatibili con la caduta dal terrazzo precipitazione".

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