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Giovedì, 25 Aprile 2024
La sentenza di primo grado / Cuneo

La donna che mette il topicida nella minestra del marito ricoverato in ospedale: finisce male (ma non per lui)

È stata condannata a otto anni. Una sentenza sbagliata e ingiusta, secondo l'avvocato della difesa che ricorrerà in appello. La ricostruzione

Otto anni di reclusione per la donna di 50 anni accusata di aver tentato di avvelenare il marito mentre era ricoverato in ospedale a Bra, in provincia di Cuneo. Si è concluso così, al tribunale di Asti, il processo di primo grado per tentato omicidio volontario nei confronti della 50enne. Il giudice Francesca Di Naro ha accolto la richiesta del pubblico ministero Vincenzo Paone, condannando la donna, sorpresa a sbriciolare un mix di polvere topicida e farmaci nel bicchiere e nella minestra del marito, un 56enne, nel dicembre 2018 in cura al Santo Spirito di Bra per una polmonite.

"Una sentenza sbagliata e ingiusta - ha commentato al quotidiano La Stampa l'avvocato della donna, Roberto Ponzio -. Secondo i nostri periti la quantità di sostanze somministrate in concreto non era idonea a uccidere. Non è stato evidenziato un grado di tossicità tale da causare la morte. Il signore non ha manifestato sintomi indotti dall'assunzione, e non ci sono stati effetti sull'organismo, né pericoli per la sua vita. Attendiamo le motivazioni e ricorreremo in appello".

Il topicida nella ministra del marito ricoverato in ospedale

C'era anche il bromadiolone, una molecola presente in un topicida, nel sangue dell'uomo vittima di un tentativo di avvelenamento in ospedale a Cuneo. È quanto era emerso da una nota dei carabinieri del Nucleo antisofisticazione e sanità di Alessandria che, coordinati dalla procura della Repubblica, avevano fermato la donna, sorpresa mentre somministrava farmaci e altre sostanze vietate nei cibi e nelle bevande del marito mentre era ricoverato. Sostanze nascoste, secondo l'accusa, in modo da non destare sospetti di alcun tipo sia nel marito che nel personale ospedaliero. Il provvedimento di fermo nei suoi confronti era scattato il 28 dicembre 2018 a seguito di indagini coordinate dalla procura di Asti.

Le indagini erano state avviate su segnalazione della direzione sanitaria di presidio dell'Asl Cn 2 Alba-Bra. Il paziente era già stato ricoverato in diverse strutture ospedaliere della provincia di Cuneo, prima di arrivare all'ospedale di Bra. Gli esami tossicologici avevano riscontrato nel sangue del marito la presenza di bromadiolone "e di acenocumarolo (principio attivo di un farmaco anticoaugulante), mai prescritto o somministrato ufficialmente al paziente durante la degenza". Il marito della donna ha ottenuto un risarcimento per quella vicenda, ma non si è costituito parte civile nel processo. Ora è arrivata la condanna in primo grado e si attende il ricorso in appello, dopo le motivazioni della sentenza.
 

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