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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca Latina

Morta per abbandono in una casa di riposo: "Omicidio volontario, sentenza storica"

La storia di Elisabetta Pinna, lasciata in un letto in gravissime condizioni, senza cure né alimenti: quattro imputati condannati a quattordici anni di carcere. È la prima volta in Italia che la mancanza di assistenza sanitaria determina una condanna per questo reato

Malnutrita, maltrattata. In una sola parola: abbandonata. Elisabetta Pinna, 85enne sarda originaria di Domusnovas, è stata ospite per alcune settimane di una casa alloggio di Aprilia, in provincia di Latina: l’anziana, abbandonata in un letto in gravissime condizioni, senza cure né adeguata alimentazione, è morta il 18 luglio del 2010 all’ospedale di Gallarate (Varese) - dopo essere transitata per quello di Anzio - perché ormai non c’era più nulla da fare per salvarla.

Il suo caso è da considerarsi omicidio volontario. Ed è una sentenza storica, la prima in Italia, quella emessa ieri dalla Corte d'Assise del tribunale di Latina. La ricostruzione del pm Maria Cristina Pigozzo è stata accolta dai giudici che hanno condannato quattro imputati a quattordici anni di carcere (sono invece due le assoluzioni): sono Alfio Quaceci, 71 anni, gestore della comunità alloggio Villa Sant’Andrea, la sua collaboratrice Maria Grazia Moio, l’infermiera Gheorgeta Palade e l’operatrice Noemi Biccari.

PARLA L'AVVOCATO - "E' il primo caso in Italia di condanna per omicidio volontario legata all’assenza di cure e assistenza in campo sanitario. E sono soddisfatto perché la sentenza restituisce dignità a questa donna e ai suoi familiari", ha commentato a Today l'avvocato di parte civile Renato Archidiacono, che ha assistito i parenti della donna insieme alla collega Silvia Siciliano. L'anziana, che non poteva camminare a causa di una frattura del femore ed era affetta da problemi cardiaci e morbo di Alzheimer, secondo il capo di imputazione era stata praticamente abbandonata a se stessa. Rimasta “per lungo tempo immobile, senza idonea terapia motoria e senza che nessuno verificasse che si alimentasse e idratasse adeguatamente”. Non erano stati inoltre messi  in atto gli accorgimenti necessari per evitare la formazione di piaghe da decubito, che erano anzi degenerate fino al quarto stadio, il più grave.

"E' stata ricostruita - racconta l'avvocato - la volontà degli operatori della struttura di nascondere ai parenti della donna che le facevano visita le sue reali condizioni di salute, coprendola fino al collo con delle coperte e dicendo che non si poteva scoprirla”. In un caso, ricostruisce l'accusa, neppure il medico di base, chiamato con urgenza dalla nipote, è riuscito a visitare la vittima. Proprio per questo, secondo chi ha indagato, era stato ritardato un ricovero in un ospedale, avvenuto poi il 12  giugno del 2010. All'ospedale di Anzio vennero diagnosticate “condizioni generali gravissime: cute disidratata, malnutrizione e lesioni da decubito” ormai andate in necrosi. Quattro giorni più tardi Elisabetta Pinna era deceduta.

Il caso ricorda da vicino - anche se con i dovuti distinguo - quello di Franco Mastrogiovanni, il maestro elementare di Castelnuovo Cilento morto nel reparto psichiatrico dell'ospedale di Vallo della Lucania il 4 agosto 2009. Sottoposto ad un Tso, il paziente restò senza acqua e senza cibo, legato mani e piedi per quattro giorni. Cambia però il capo di imputazione, e sta proprio qui la "storicità" della sentenza Pinna. Per il caso Mastrogiovanni, le accuse ai medici sono di sequestro, falso in atto pubblico e morte in conseguenza di altro reato. I medici sono stati già condannati in primo grado dal Tribunale di Vallo della Lucania con la sentenza del 30 ottobre 2012, mentre i dodici infermieri tutti assolti. La sentenza d'appello fissata per venerdì scorso è saltata per la mancanza di un giudice del collegio giudicante e rinviata a data da destinarsi.
 

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