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Venerdì, 29 Marzo 2024
Lutto nel mondo del giornalismo

L'addio a Omar Monestier: "Mancherà il tuo spirito da queste parti"

Il direttore del Messaggero Veneto e de Il Piccolo è morto a soli 57 anni. Il nostro ricordo

È avvilente, almeno ai miei occhi, che in occasione di un lutto celebre ci sia una sorta di competizione per legittimare il proprio rapporto con il defunto. Facendo salvi familiari, amici veri e colleghi più stretti, la maggior parte di quelli che avanzano fanno pratica di autoreferenzialità. Parlano di loro stessi e non di chi è mancato. Colui che se n’è andato non assiste al teatrino patetico ed è forse l’unica cosa bella della morte. Mi sono chiesto se a Omar Monestier, invece, farebbe o meno piacere tutto questo. Non saprei, conoscendolo poco o nulla. Quello di cui sono sicuro (o di cui mi suggestiono) però è che avrebbe apprezzato che alla sequela partecipassi pure io. E allora diamoci dentro. Monestier ha iniziato a dirigere il Messaggero Veneto nello stesso periodo, più o meno, in cui è nato UdineToday. Quindi, da quando io ho cominciato a fare il giornalista a tempo pieno (prima non me lo potevo permettere) Omar c’è sempre stato, rappresentando – come parte apicale – il paradigma di quello che si sarebbe dovuto fare. Nessuna presunzione o voglia di paragonarsi a una direzione e a una testata con le quali, per dimensioni e risorse, è impossibile confrontarsi ad armi pari. Ci mancherebbe. Solo che un riferimento competitivo, come in tutti i lavori, se vuoi migliorarti lo devi avere. Lui è stato il mio, salva la parentesi livornese, per più di 10 anni. Ci siamo parlati dal vivo pochissime volte e di nessuna di quelle occasioni, salvo le formalità di rito, ho ricordi di discorsi nel merito. È capitato che intervenissimo una volta allo stesso programma radiofonico dove si discuteva di informazione sul web. Zero confronto, solo due soliloqui di persone convinte di conoscere il tema meglio dell’altro. Se voleva farmi sapere qualcosa sul mio operato, che fosse un apprezzamento (più di quanti si possano immaginare) o una critica (parecchie, tutte affette da una sorta di alterigia) lo diceva ai miei collaboratori con cui aveva maggiore confidenza. È stato così da subito. Prima con chi lavorava o lavora ancora con me a Udine e poi, da quando assunse la direzione de Il Piccolo, con chi si occupa di TriestePrima. Di primo acchito potrebbe sembrare una diminutio e non nego di essermi inizialmente risentito per questo modo di fare (va precisato che sono molto permaloso). Mi sembrava una cosa della serie “non parlo con te perché non sei al mio livello”. Poi, col tempo e con qualche altra soffiata riappacificatoria di suoi giornalisti (“quello è bravo, non dovrebbe stare lì”, cose del genere), ho capito che era il suo modo di manifestare considerazione nei miei confronti. Questo mi ha permesso di non infastidirmi per certe sue valutazioni poco opportune e di rispettarlo, prendendomi pure il lusso di canzonarlo per certe sue derive (su tutte il culto per la barba) che condividevamo. Quando andò a dirigere Il Tirreno gli inviai un messaggino che faceva più o meno così ed è quello che mi piacerebbe potesse leggere anche adesso: “Mancherà il tuo spirito da queste parti. Ogni bene”. 

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