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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Roma

“Naufragi di Stato”: gli attivisti si incatenano davanti al Ministero dei Trasporti

Decine di persone hanno protestato a Roma contro le politiche del governo, accusate di aumentare il numero di persone che muoiono in mare nel tentativo di raggiungere l'Europa

Secondo l'organizzazione non governativa ambientalista e pacifista, riducendo i soccorsi non si è fatto altro che incrementare le vittime: “Queste politiche e la riduzione dei soccorsi hanno aumentato il numero di persone che annegano nel Mediterraneo centrale: oltre 1000 confermate dall’inizio dell’anno. Il Canale di Sicilia ha raggiunto il drammatico primato di confine più letale al mondo, con una persona su 7 dispersa nel solo mese di giugno (Fonte: UNHCR). Un tragico traguardo, raggiunto per il quinto anno consecutivo, nonostante il calo nel numero di arrivi. L’elevata perdita di vite umane dimostra quanto sia urgente rafforzare le capacità di ricerca e soccorso nella regione e aprire canali legali di arrivo”.

Alle ong attualmente presenti in questa parte di Mediterraneo è invece impedito di lasciare i porti di attracco per andare a soccorrere e di accedere poi a porti ragionevolmente vicini, per mettere in sicurezza le persone tratte in salvo, che non possono essere riportate in Libia. Ricondurre forzosamente in Libia le persone intercettate in mare dagli assetti libici non è una soluzione, ma non è altro che un “respingimento per procura”. La Libia non è un “posto sicuro”, come richiede la normativa sul soccorso rispetto al luogo di sbarco. Per questo l’Italia è già stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel 2012 per la pratica dei respingimenti collettivi sotto il regime di Gheddafi (caso Hirsi Jamaa v. Italy).
 
“Non ci riconosciamo in un sistema che finanzia e supporta un ciclo di abusi per cui le persone intercettate in mare, una volta rimandate sulle coste libiche, sono soggette a un regime di detenzione arbitraria e illimitata e condotte in centri di detenzione governativi, quando non vendute a gruppi criminali. In entrambi i casi sono infinite le testimonianze di torture, stupri, estorsioni», proseguono le attiviste e gli attivisti. «I diritti delle persone in movimento sono inalienabili: sono i nostri diritti. Le presenti politiche stanno minacciando i diritti civili, che lo Stato ha il dovere e la responsabilità di proteggere e che non può opprimere, né tantomeno annegare”, concludono.

 
 
Proprio per dare un taglio a questa drammatica situazione, Greenpeace ha stilato una serie di richieste da recapitare al Ministero dei Trasporti, al Ministero dell’Interno e all'Unione europea:

  • l’apertura dei porti italiani alle navi con persone soccorse in mare a bordo, in condizioni di vulnerabilità. Questa chiusura infatti, dopo aver inizialmente riguardato le ong, è stata estesa in questi giorni anche alle navi militari europee e persino alle navi battenti bandiera italiana. Il governo italiano non può impedire il regolare e legale svolgimento delle operazioni di soccorso, chiudendo i propri porti attraverso dichiarazioni d’intenti su Internet, non traducibili in atti ufficiali e non supportate da alcuna base giuridica plausibile.

Chiedono inoltre agli Stati membri dell’Ue e ai loro governi:

  • Di fermare subito il processo in atto di istituzionalizzazione dell’omissione di soccorso, un dovere universale nonché prescritto dalla legge;
  • Che l’Unione si assuma la propria responsabilità in mare, predisponendo assetti con un chiaro mandato di ricerca e soccorso, attraverso una missione Sar europea;
  • Che i rappresentanti dei governi europei trovino soluzioni strutturali e non emergenziali, né tantomeno basate sulla deterrenza - come quelle attuali - ma piuttosto sulla responsabilità di proteggere i diritti, di tutti: attraverso l’istituzione di vie legali e sicure per la migrazione, che si deve accettare come un fatto umano, e come un fondamentale diritto.
     

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