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Giovedì, 25 Aprile 2024
L'intervista / Ravenna

Parla un soccorritore: "Ho visto il terrore delle persone, poi la gioia di salvare una neonata"

Il racconto di un vigile del fuoco intervenuto nella zona di Faenza: "Porterò per sempre dentro di me l’attimo in cui mi è stata messa in braccio: era un piccolo fagottino dagli occhi vispi"

Vite spezzate, migliaia di persone costrette a lasciare le case, strade cancellate dalle mappe: questa l'Emilia Romagna martoriata dall'alluvione. In aiuto dei cittadini uomini e mezzi da tutta Italia. Anche dal Salento sono partite delle squadre di vigili del fuoco e di volontari. Da Faenza arriva la testimonianza di Giorgio Andrea Tramacere, vigile del fuoco salentino di 41 anni con un passato nell'Esercito e ora in servizio al comando di Milano. Anche lui è partito con la sezione Fluviale della Lombardia per andare con gli altri colleghi nelle zone colpite. Con i suoi occhi e la sua testimonianza ci porta nel cuore dell'emergenza.

Alluvione in Emilia Romagna: la diretta

Vivere una situazione di emergenza come quella dell'alluvione in Emilia Romagna deve essere intenso. Innanzitutto, come stai?

“Stanco, come tutti i miei colleghi, ma felice di aver dato assieme a loro il nostro contributo a quella gente bisognosa: sono stati quattro giorni intensi, senza mai dormire e senza mai fermarsi. Ma l’indomita voglia di aiutare la popolazione ha vinto su tutto, anche sulla stanchezza".

In che zona in particolare siete intervenuti e avete operato?

“Siamo partiti dal Comando di Milano con la sezione Fluviale Lombardia alla volta di Faenza: siamo stati tra i primi a intervenire per questa calamità alluvionale e a dover fare i conti con una situazione davvero disastrosa”.

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I media hanno raccontato davvero tante criticità con immagini forti dei disagi. Cosa avete trovato al vostro arrivo?

“Come dicevo, la situazione era disastrosa: gente sui balconi, ai piani alti, perché tutti i piani terra e parte dei primi piani sono andati distrutti per l’intensità dell’acqua. Le persone erano terrorizzate, ogni volta che cadevano due gocce d’acqua si vedeva che nei loro occhi ritornavano le immagini dei momenti tragici vissuti. Attendevano con ansia il nostro arrivo e chiedevano di essere recuperati dalle proprie abitazioni per venire trasferiti nel centro di accoglienza allestito per gli sfollati”.

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Quante persone avete soccorso in quei quattro giorni e come siete riusciti a metterli in salvo?

“Ne abbiamo soccorse tante, non saprei dare un numero preciso. Siamo intervenuti coi barconi di salvataggio e ci avvicinavamo alle abitazioni, mettendo in sicurezza le persone e facendole calare giù. In una situazione di emergenza come quella non ci hanno aiutato ovviamente le condizioni perché la pioggia ha continuato a cadere incessantemente e questo inevitabilmente ha rallentato i recuperi: non ci siamo persi d’animo e le difficoltà incontrate non ci hanno impedito di fare quello per cui eravamo stati chiamati”.

Hai affrontato nel passato situazioni così critiche di emergenza? Hai notato analogie nelle differenti calamità?

“Quando ero nell’esercito sono stato a San Giuliano di Puglia e poi a L’Aquila, per i terremoti che hanno colpito quei territori: sono tipologie di emergenze differenti, ma quello che le accomuna è lo sconforto delle popolazioni colpite”.

Tra le persone che avete tratto in salvo con la tua squadra c’è anche una neonata. Come ricordi quel momento?

“Sì, è stata un’emozione che mi porterò dentro sempre. Era la figlia di una coppia senegalese che si trovava al secondo piano di una palazzina. Indossava questo cappellino azzurro per cui all’inizio ho pensato si trattasse di un piccoletto e l’ho chiamato affettuosamente ‘orsacchiotto’, ma i genitori mi hanno spiegato che si trattasse di una bimba. Ovviamente era un po’ agitata dalla situazione ma stava bene e questa era la cosa più importante. Mi porterò per sempre dentro l’attimo in cui mi è stata messa in braccio: era un piccolo fagottino dagli occhi vispi, che abbiamo messo in salvo insieme ai suoi genitori”.

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Cosa ti porterai dietro di questa esperienza?

“Ciò che rimane impresso è la riconoscenza della popolazione soccorsa: in tanti, ieri sera, hanno trovato il tempo di raggiungere la nostra base in loco e di dimostrarci il loro affetto, con la presenza e abbracci sinceri. Alcuni di loro ci riconoscevano per strada, ci raggiungevano per ringraziarci. Altri ci hanno offerto caffè, panini e nei loro occhi scorgevi davvero tutta la gratitudine commossa per come ci stavamo spendendo per loro”.

Cosa ti aspetta dopo l'impegno diretto in quelle terre alluvionate?

“Ora si ritorno al comando, dopo quattro giorni intensi, fieri di aver fatto del nostro meglio, il nostro lavoro, dando una speranza a quanti hanno perso tutto. Ma pensiamo a quella popolazione che dovrà rimboccarsi le maniche e trovare la forza di ricominciare, anche se è plausibile il loro sconforto, vedendo tanta distruzione”.

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