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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Italia

Quando la legge protegge chi procura stragi più che le vittime

"No alla prescrizione". A Roma il grido di dolore dei parenti delle vittime delle stragi che hanno insanguinato l'Italia, da Viareggio a Corinaldo passando per L'Aquila. Il documento

Rigopiano e Amatrice, Viareggio e Thyssenkrupp, San Giuliano di Puglia e L'Aquila, il crollo del Ponte Morandi di Genova e la tragedia del Jolly Nero, il Moby Prince, la lanterna azzurra di Corinaldo. Ognuno di questi nomi suscita una suggestione a chiunque si trovi a leggerne. Sono i luoghi della Spoon River italiana di chi chiede giustizia, di chi non vuole essere dimenticato. Figli, nipoti, congiunti e semplici amici o congiunti di persone che non ci sono più chiedono a gran voce giustizia rimarcando quello che è un grido comune: "Io non dimentico".

Come non può dimenticare Gloria Puccetti, madre di un ragazzo, Matteo Valenti, morto nel 2004 a Viareggio non troppo lontano a dove troveranno la morte 32 persone cinque anni dopo in uno dei più tragici incidenti ferroviari della storia italiana.

Gloria è la madre di una vittima il cui caso fino a pochi anni fa sarebbe rimasto archiviato solo con una sigla nel computo degli incidenti sul lavoro, invece Matteo Valenti è diventato il nome dell'associazione che ha iniziato a dar voce a tante vittime di tragedie dimenticate. Poi è successa una cosa che Gloria non può dimenticare.

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"Era la notte del terzo anniversario del terremoto dell'Aquila e come ogni anno noi parenti delle vittime della stragi italiane eravamo stretti fianco a fianco per farci forza ed è nata una magia". Dice proprio così Gloria conversando con Today.it.

Quella magia oggi ha il nome di un comitato che si batte affinché molte di queste stragi non finiscano nel computo delle storie italiane senza un perché ma trovino giustizia. Il coordinamento delle associazioni e comitati delle vittime dei disastri colposi italiani è nato attraverso gli sguardi dei genitori delle vittime. "Era il 2011 e in quel capannone a L'Aquila erano arrivati anche i parenti delle vittime della recente alluvione di Messina".

Farsi forza sì, ma anche trovare un motivo in più per andare avanti e far sì che la giustizia trionfi, perché come spiega la presidente del 'Coordinamento noi non dimentichiamo' in Italia si assiste ad un controsenso giudiziario in cui "è più protetto chi procura stragi di chi di quelle stragi è vittima. È una solitudine che fa male ancor più se si pensa che spesso con pochi migliaia di euro di prevenzione molte vite sarebbero state risparmiate".

Non solo voci, ma anche fatti. Perché dal coordinamento è nato un appello al governo. Al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è stato consegnato un documento che contiene l'impegno ad accelerare i processi e a far sì che non scatti la prescrizione a tutela di responsabili che resterebbero così solo presunti.

"Un documento che abbiamo consegnato a lui il giorno dell'anniversario del terremoto di San Giuliano di Puglia e che oggi volevamo consegnare ai magistrati riuniti in Cassazione per la cerimonia di apertura dell'anno giudiziario", spiega Gloria che apprezza l'apertura del ministro sulla riforma della giustizia e l'appello del capo dello Stato a non fare passi indietro sui diritti civili.

Basta disastri colposi: il documento

La proposta dei comitati delle vittime dei disastri è articolata in quattro punti fondamentali. Prima di tutto la cultura della prevenzione attraverso incontri anche nelle scuole per non dimenticare quanto successo. Sempre con riguardo alla sicurezza torna il tema dell'anagrafe delle costruzioni e dei controlli degli edifici pubblici di cui tanto spesso si parla nei ricorrenti casi di disastri legati ad eventi sismici.

Proposte in tema di prevenzione (Pdf)

Uno dei temi più spinosi riguarda però i processi: la richiesta è quella di inserire i disastri colposi fra i processi da trattare con priorità; di prevedere la responsabilità sussidiaria da parte dello Stato per le azioni civili; ma soprattutto un controllo dei tempi di svolgimento dei processi. Riguardo alla tutela delle vittime i comitati sollecitano una norma che assicuri a tutti i danneggiati l'assistenza legale gratuita.

Ultima ma non meno importante è la riforma della prescrizione: i familiari delle vittime infatti ritengono inaccettabile l'ombra del "troppo tardi" che aleggia ad esempio sulla sentenza arrivata in cassazione sul caso Eternit. La pretesa è quella di rinunciare al diritto all'oblio "che può valere per reati minori ma non per ipotesi di particolare allarme sociale".

Propria dall'esigenza di conoscere la verità, il coordinamento dei comitati delle vittime delle stragi colpose chiede l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta per far piena luce su quelle che rischiano di rimanere ombre nella recente storia italiana.

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Le famiglie delle vittime bloccate dalla polizia

Per questo motivo oggi a Roma era stato organizzato un presidio con le famiglie delle vittime di questi disastri. Tra le mamme giunte nella Capitale per prendervi anche c'era anche Adele Chiello Tusa, mamma di Giuseppe Tusa, una delle vittime del disastro della Jolly Nero avvenuto al porto di Genova il 7 maggio del 2013, che ha raccontato a Today gli attimi di tensione vissuti nei pressi di piazza Cavour: “Quando ci stavamo dirigendo verso il Palazzo di Giustizia, le forze dell'ordine ci hanno dirottato in un'altra piazza e ci hanno bloccato dicendo che dovevamo attendere un ordine, che poi non è mai arrivato. Il permesso per la manifestazione, già dato dalla Digos, è stato revocato, con gli agenti che hanno ricevuto il mandato di non farci passare”.

Il blocco della polizia ha provocato le proteste dei familiari delle vittime delle stragi avvenute in Italia, con lo scontro che è stato 'sfiorato' in diverse occasioni, come testimoniano i video diffusi sui social network da Adele Tusa e da altre mamme che erano presenti. “Noi volevamo soltanto esserci per l'inaugurazione dell'anno giudiziario - prosegue nel racconto Adele - ma loro non ci hanno voluto, forse perché hanno paura di qualche mamma 60enne con i figli ammazzati. Sono convinta che loro non volevano 'rumore', nonostante noi fossimo andate lì pacificamente, senza alcuna intenzione di creare disordini, come invece è avvenuto in seguito”.

Adele Tusa: "Oggi è morta la democrazia"

A far infervorare le famiglie delle vittime è stata la 'presa in giro' della polizia, con l'ok a lasciarle passare che non è mai arrivato: “Dopo averci dirottato in maniera molto garbata verso un'altra piazza, ci siamo trovati circondati come i delinquenti, con la polizia che non ci faceva passare. Gli agenti sono stati gentili e hanno cercato di tenerci buoni, ma una volta capito che il via libera per noi non sarebbe mai arrivato gli animi si sono scaldati. Ci hanno tenuto fermi lì fino a quando non è finita la cerimonia”. “Se a Genova è morta la giustizia - conclude la mamma di Giuseppe Tusa - oggi a Roma è morta la democrazia”.

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