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Sabato, 20 Aprile 2024
Le indagini sulla tragedia

"Prima che si rompa il cavo ce ne vuole": le parole degli operai nell'ordinanza sull'incidente alla funivia Mottarone e i nuovi indagati in arrivo

Le indagini puntano sulle responsabilità degli operai. E uno di loro chiama in causa di nuovo il proprietario e il direttore della sicurezza, scarcerati dal Gip: "Ho udito più volte Tadini discutere animatamente al telefono con Perocchio e Nerini poiché questi ultimi due erano contrari alla chiusura dell'impianto"

"Non finisce qui". Nelle parole della procuratrice capo di Verbania Olimpia Bossi è per adesso soltanto un'anticipazione, ma l'incidente alla funivia Stresa-Mottarone potrebbe presto vedere altri indagati. Dopo che l'ordinanza del giudice delle indagini preliminari Donatella Banci Buonamici ha liberato Luigi Nerini ed Enrico Perocchio, rispettivamente proprietario e direttore della sicurezza della funivia, l'inchiesta prosegue in due direzioni.

"Prima che si rompa il cavo ce ne vuole": le parole degli operai nell'ordinanza sull'incidente alla funivia Mottarone e i nuovi indagati in arrivo

La prima è quella volta ad accertare cosa è successo alla fune traente delle funivia. Perché si tratta del mistero ancora sul tavolo, anche se le indagini paiono puntare su una direzione ben precisa: quella della testa fusa della fune che potrebbe essere stata danneggiata dall'usura nel tempo ma non controllata durante le operazioni di manutenzione ordinaria. La testa fusa è il cuneo di piombo che si aggancia alla cabina: si tratta della parte più delicata che peraltro può essere controllata solo a vista ma attraverso operazioni complicate che spesso vengono bypassate. Di solito quella parte della meccanica della funivia sfugge alle verifiche magneto-induttive come quelle fatte a novembre. 

Poi ci sono le indagini sulle responsabilità. Sulla possibilità che altre persone possano essere iscritte al registro degli indagati, il pm ha sottolineato come siano in programma "una serie di attività di indagine programmate che continueremo" e che "da lunedì si andrà avanti a cominciare dagli accertamenti tecnici a cui abbiamo solo dato avvio con il primo sopralluogo del nostro consulente". A breve potrebbero essere iscritti nel registro degli indagati anche altri dipendenti della società che gestisce la funivia del Mottarone. "Valuteremo in che termini sapevano dell'uso dei forchettoni", ha detto la procuratrice. "valuteremo se hanno consapevolmente partecipato o se si sono limitati ad eseguire indicazioni provenienti dall'alto".

Parole più prudenti rispetto a quelle pronunciate dopo i primi tre fermi: "C'è un'intera squadra complice". Ma che rimangono comunque la spia delle intenzioni della procura: accertare le responsabilità di chi sapeva dei forchettoni sui freni d'emergenza ma non ha parlato. Di certo finora c'è che fu Tadini a ordinare di mettere le morse ai freni a partire dal 26 aprile perché c'erano delle anomalie al sistema frenante. "Si andava avanti così dall'inizio della stagione, quando l'impianto è tornato a funzionare dopo le restrizioni anti-Covid", hanno raccontato i dipendenti nei primi interrogatori. "Prima che si rompa il cavo ce ne vuole", avrebbe detto Tadini. Che ha ammesso di aver usato i forchettoni una decina di volte in 15 giorni. E di non averli mai più tolti a partire da venerdì 21.

Le indagini sull'incidente alla funivia Stresa-Mottarone

Quindi gli addetti alla funivia del Mottarone sapevano della prassi del caposervizio Gabriele Tadini di lasciare inseriti i ceppi per bloccare il sistema frenante, ma forse potevano rifiutare di assecondarla. "L'installazione di questi ceppi è avvenuta già dall'inizio della stagione di quest'anno, esattamente il 26 aprile. Vi era infatti un problema all'impianto frenante della cabina numero 3, per cui era stato richiesto l'intervento di una ditta specializzata, che però non aveva risolto il problema", dice a verbale uno degli operai della funivia a lavoro la mattina del disastro. "Tadini ha ordinato di far funzionare l'impianto con i ceppi inseriti anche se non erano garantite le condizioni di sicurezza necessarie (...). La cabina numero 3 era solita circolare con i ceppi inseriti già da parecchio tempo, per evitare l'inserimento del freno d'emergenza durante la corsa e impedire così il funzionamento dell'intero impianto", sono le rivelazioni confermate, in sostanza, da altri quattro operai sentiti dai carabinieri che indagano sulle cause dell'incidente.

Il problema del calo di pressione al sistema frenante è noto a tutti e due interventi sono eseguiti dalla società Rvs di Torino alla quale la Leitner (incaricata della manutenzione) aveva affittato in subappalto gli interventi sulle centraline dei sistemi frenanti. Un dipendente, si legge sempre a verbale, chiede a Tadini se non è rischioso lasciare inseriti i forchettoni che impediscono di frenare in caso di emergenza, ottenendo come risposta: "'Prima che si rompa una traente o una testa fusa ce ne vuole'. Ricordo bene queste parole, a queste parole non ho replicato anche perché è lui il mio responsabile". Aggiunge che in passato fece riferimento direttamente al gestore di un problema, ma "Luigi Nerini ascoltava solo quello che gli diceva Gabriele Tadini".

Intanto, scrive oggi Il Fatto Quotidiano, dai verbali degli interrogatori emerge la testimonianza di uno degli operatori, ovvero Fabrizio Coppi, il quale sapeva dei forchettoni perché il suo superiore gli aveva a chiesto di “lasciarli inseriti”, “specificamente sulla vettura numero 3”, su cui persisteva una “perdita di pressione alla centralina dei freni”. “Ricordo di averlo chiesto proprio a Tadini – ricorda Coppi – quando mi ordinò di non rimuovere il ceppo. Lui mi rispose: ‘Prima che si rompa un cavo traente o una testa fusa, ce ne vuole’. Ricordo bene queste parole. Non ho replicato anche perché è lui il responsabile”. 

La testimonianza di Fabrizio Coppi chiama in causa il proprietario Luigi Nerini 

Ma soprattutto la testimonianza di Coppi chiama in causa sia Nerini che Perocchio. È lui a riferire di aver assistito a discussioni sul problema al freno d'emergenza e sulla soluzione-forchettone: “Ho udito più volte Tadini discutere animatamente al telefono con Perocchio e Nerini poiché questi ultimi due erano contrari alla chiusura dell'impianto, nonostante la volontà di Tadini di fermarlo. Dopo alcune telefonate l’ho visto molto turbato e demoralizzato ”. Quanto all’esistenza di un interesse economico, escluso per il momento dal giudice, ecco cosa racconta Coppi:

“Con la stagione appena ricominciata dopo il Covid una chiusura sarebbe stata una catastrofe. Tadini aveva ricevuto talvolta il permesso di fermarsi, ma quando c’era brutto tempo”. E ancora: “Nel 2012, quando iniziai a lavorare, Nerini, a proposito del pericolo sul lavoro in funivia, mi disse che tanto non sarebbe mai successo niente. Questa frase mi rimase impressa perché poi il mese dopo fui costretto a calare 38 persone da una cabina bloccata”. 

Intanto la sindaca di Stresa Marcella Severino ieri in una diretta facebook è  tornata a parlare della funivia: "Bisogna ripartire, non possiamo permetterci, dopo più di un anno di Covid, di chiuderci a riccio. Sono certa che le persone e i turisti continueranno a venire a Stresa".

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