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Redazione

Anche la camorra ha la sua "Generazione Z"

Sabato 9 ottobre, Luigi Giuseppe Fiorillo, 19 anni, è stato ucciso in un agguato avvenuto all'esterno di un circoletto di via dell'Arco nel quartiere di Secondigliano. Due sicari in sella a uno scooter sarebbero arrivati davanti al circolo e fatto fuoco contro il giovane. Sono stati almeno una decina i colpi di pistola calibro 7,65 esplosi nei suoi confronti, sei quelli che lo avrebbero raggiunto ferendolo a morte. Fiorillo, detto "‘o bit", aveva precedenti e si trovava in compagnia di amici al momento dell’agguato. La Polizia, cui è giunta una segnalazione verso mezzanotte, ha avviato le indagini per chiarire la dinamica di quanto accaduto e sul movente. Questo ennesimo e brutale omicidio sottolinea ancora una volta l’evoluzione della criminalità organizzata. Un ricambio generazionale causato dall’abbassamento dell’età di iniziazione che, ormai, coinvolge pienamente anche la cosiddetta “Generazione Z”.

Senza ombra di dubbio, il primo fattore è strettamente economico. I ragazzi provenienti dalle periferie napoletane si rendono conto molto presto che le possibilità di guadagno sono ridottissime. La camorra consente ai giovani di ottenere denaro rapidamente e in modo semplice (anche il solo ruolo di vedetta, svolto per pochissime ore, può far guadagnare fino a 200 euro al giorno). Ovviamente, il fattore economico abbraccia con forza il desiderio di riscatto sociale. Per giovani le cui possibilità finanziarie sono sempre state minime, avere “l’improvvisa” possibilità di accedere a locali e ristoranti – comprare un costoso motorino – fare colpo sulle ragazze, è una tentazione quasi irresistibile. Dopo il fattore economico e quello relativo al riscatto sociale, arriva anche il fattore “potere”. Per un ragazzo snobbato e vessato dalla vita - nato dove non c’è nulla - puntare una pistola alla testa di un coetaneo al fine di costringerlo a darti qualcosa dà un senso di potere enorme.

Un potere mai conosciuto. Infine, non bisogna mai dimenticare il senso di appartenenza sempre garantito dalle associazioni malavitose. Una “vigliaccata” che va a toccare quello che, probabilmente, rappresenta il più doloroso nervo scoperto per un giovanissimo: la totale assenza di affettività e vicinanza che dovrebbe essere parte integrante dell’ambiente scolastico e sociale. Nelle periferie di Napoli, i ragazzi percepiscono lo Stato solo ed esclusivamente come un’entità assente; del tutto incapace di fornire un aiuto concreto. Ma non solo: lo Stato appare addirittura come un parassita fastidioso, un invasore di spazi vitali. Quasi come se l’inoppugnabile assenza da sempre registrata abbia tracciato un solco enorme. Un solco che ha cancellato ogni forma di fiducia. Le periferie non sono ancora pronte per fare un discorso concernente l’autocomprensione e la cultura della legalità. Lo Stato viene inteso soltanto attraverso i suoi più evidenti tracolli: scuole fatiscenti, parchi trasformati in cumuli di immondizia e droga, stazioni della metropolitana pericolose in qualsiasi ora del giorno. Ai nostri giovani, fin da piccolissimi, viene sistematicamente inculcato il concetto che se non fai parte di un “sistema” vali meno di niente. Cancellare questo assioma è quasi impossibile.

Non è impossibile - però - immaginare di “riprogrammarlo”. Non è detto che l’unico “sistema” sia quello criminale. Le parrocchie presenti nei quartieri di frontiera fanno già molto. È così difficile dare una mano a queste realtà che, più di ogni altra, si sono sostituite allo Stato come figure di onestà e valore? Se tutte le realtà associative che vengono in soccorso dei nostri ragazzi sono riconducibili esclusivamente a enti privati o alla Chiesa – allora – lo Stato deve dare carta bianca. Non sapete adempiere al vostro ruolo? Fatelo fare a chi ci riesce e preoccupatavi, almeno, di garantire a quest’ultimi i mezzi minimi per riuscirci. Perché un ragazzo che sceglie la via della criminalità non rappresenta una sconfitta soltanto per sé stesso. Rappresenta una sconfitta per tutti noi. Perché SIAMO NOI lo Stato.

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