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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Omicidio Yara

Perché il killer di Yara potrebbe non essere lui: la difesa di Bossetti

Il procuratore di Bergamo accelera: "Possibile giudizio immediato per Bossetti". Ma l'accusa già vacilla: l'unica prova vera - per quanto importante - resta la traccia di Dna. Manca l'arma del delitto e il movente e i tabulati telefonici non dicono tutto

ROMA - Ci sono voluti quasi quattro anni. Dal 26 novembre 2010 al 16 giugno 2014: giorni di ricerche, test, paure e speranze. Alla fine il quadro ha trovato la sua cornice, il mostro è stato dipinto. Barba e sopracciglia ossigenate, capelli biondi, faccia da "bravo ragazzo" e una famiglia in casa. Un nome - come quello del suo vero padre, Giuseppe Guerinoni - e un cognome: Massimo Giuseppe Bossetti. L'unico fermato e il maggiore indiziato per l'assassinio di Yara Gambirasio è lui. E ora che la procura ha materializzato il fantasma non ha più intenzione di fermarsi. Quasi a voler cancellare tre anni e passa di attese. Come a voler dimostrare che - ministro Alfano docet - "in Italia chi sbaglia va in galera". Ma l'errore è lì, tragicamente dietro l'angolo.

Il procuratore di Bergamo, Francesco Dettori, in un'intervista a Radio 24 ha annunciato: "Credo che si possa tranquillamente andare a giudizio immediato. La decisione di richiederlo spetta al pm Ruggeri ma ritengo di sì, che si possa fare il giudizio immediato. Dopo tanti anni, se si riesce ad arrivare a un giudizio dibattimentale il più rapido possibile significa anche dare un giusto conto del funzionamento della macchina della giustizia". Il punto di partenza, e quello di arrivo, è sempre lo stesso: la traccia di Dna sugli slip di Yara. 

"La nostra è una certezza processuale basata su prove scientifiche praticamente prive di errore - ha rivendicato Dettori - Questa prova è stata stabilita in un contesto oggettivo molto ben specifico. Non si possono fare correlazioni con altri casi come quello di via Poma, sono casi diversi. Basti pensare a dove il liquido biologico si trovava, cioè sugli slip della adolescente in prossimità di una lacerazione degli slip stessi".

"E' diritto del Bossetti - ha concluso il procuratore - professarsi innocente, fa parte della dinamica processuale. Ma la nostra è una verità scientifica. Allora, crediamo o non crediamo alla scienza? L'esattezza la danno in percentuale quasi totale".

"Quasi", appunto. Il rischio ora - dopo aver individuato il presunto assassino - è che la procura stia facendo una corsa al massacro. Andare a giudizio immediato adesso significherebbe portare un presunto colpevole alla sbarra puntando tutto su una traccia di Dna. Che a sua volta porta dietro con sé un "quasi" troppo grande per essere trascurato. 

Dato per certo - e non lo è fino a prova contraria - che il Dna sia stato decifrato correttamente, non è assolutamente sicuro che sia rimasto del materiale biologico su cui fare una nuova perizia alla presenza dei periti della difesa. Il risultato? Un processo monco e un'autostrada per la difesa di Bossetti - che continua a professarsi innocente - verso l'annullamento - parziale o totale - della prova regina dell'accusa. 

Non è finita perché in quasi quattro anni - più una settimana di fermo di Bossetti - gli inquirenti non hanno ancora trovato un movente e un'arma. Perché il muratore quarantaquattrenne di Mapello avrebbe seviziato e lasciato morire Yara? Sesso? Sul corpo della piccola vittima non sono stati trovati segni di violenza sessuale. E con quale coltello? E' ancora un mistero. 

Così come è un mistero - alla luce degli orari - se Yara e il presunto assassino siano davvero mai stati contemporaneamente nella via che dalla palestra avrebbe dovuto riportare la ragazzina a casa. Quando il telefonino della vittima riceve l'ultimo sms dall'amica Martina sono le 18:49 e risulta agganciato alla cella di via Natta di Mapello, la stessa che ha agganciato un'ora prima - alle 17:45 - l'utenza telefonica di Bossetti. L'evidenza è una: Yara e Bossetti si trovano sì nella stessa area ma ad un'ora di distanza. Chiaramente i due potrebbero essere insieme anche alle 18:49 ma questo la cella telefonica non lo dice e non può dirlo

I punti bui, insomma, restano tanti. Manca una vera storia. Di Bossetti ormai si sa tutto: ama i cani, ha tre bimbi, una moglie che crede in lui e una mamma che è l'unica cosa certa della sua famiglia. Ma perché avrebbe dovuto uccidere Yara? Cosa è successo dopo le 18:49 di quel tragico 26 novembre? Questo il Dna non lo dice ed è una mancanza troppo grande perché la procura la ignori. Significa che non c'è una storia, una narrazione: significa - in ambito processuale - che non c'è una basa da cui partire. Significa che si potrebbe fallire. E ripartire ora con la caccia ai fantasmi sarebbe davvero troppo. 

Omicidio e misteri: il giallo di Yara Gambirasio

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