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Martedì, 19 Marzo 2024
Prostituzione

Tra tasse e divieti: "Vi racconto come sopravvive una prostituta"

Per un orientamento della Corte di Giustizia UE la prostituzione equivale ad altre attività economiche. Ma la legge nazionale non riconosce le sex worker. Ne parliamo con Pia Covre, fondatrice del Comitato per i diritti civili delle prostitute

Poco tempo fa due prostitute straniere residenti in provincia di Cuneo sono state multate per 200mila euro. Gli ispettori concludendo delle verifiche fiscali hanno confermato che le due donne avevano svolto attività di prostituzione. Secondo un orientamento ormai consolidato della Corte di Giustizia UE, la prostituzione, se autonoma ed abituale, equivale ad altre attività economiche e quindi “costituisce una prestazione di servizi retribuita”. Ma come pagano le tasse le lavoratrici e i lavoratori del sesso, se a livello normativo lo Stato italiano non riconosce la loro professione? Ne parliamo con Pia Covre fondatrice del Comitato per i diritti civili delle prostitute (CDCP)

"E' una lotta tra poteri dello Stato e chi ne paga le conseguenze sono le lavoratrici e i lavoratori del sesso: l'agenzia dell'entrate e alcuni magistrati hanno detto che è una professione riconosciuta perché una sentenza della Corte di giustizia europea l'ha considerato un lavoro a tutti gli effetti, ma su un caso che riguarda una lavoratrice che opera in Olanda. Su questa base hanno deciso che dovevamo pagare le tasse. Ma non abbiamo una legge che definisce il nostro un lavoro, anzi abbiamo legge che non consente di prendere i soldi alla prostituzione. Se noi facessimo un ricorso vinceremmo. Se si vogliono mettere le mani sui soldi delle prostitute bisogna mettere a posto questo"

PAGARE LE TASSE - Essere una sex woker in Italia non è facile: se la professione non è riconosciuta a livello nazionale non ci sono associazioni di categoria o diritti sindacali codificati che tutelano lavoratrici e lavoratori. "L'agenzia delle entrate è un apparato burocratico e non ha interesse nel consenso dei cittadini. Lo stesso la magistratura. Il Parlamento è eletto e le politiche vengono fatte in base al consenso. Noi non siamo una lobby che porta denaro quindi i nostri interessi rimangono sempre in fondo alla lista delle priorità politiche" spiega Covre. 

Da quella sentenza della corte europea tante prostitute nel nostro Paese si sono ritrovate con multe salatissime da pagare senza però avere una regolamentazione per il pagamento delle tasse: "Rischi che ti portino via tutto. Se io dopo 20 anni di lavoro ho comprato un appartamento e mi viene requisito". 

LA VIOLENZA - Questa è una delle tante problematiche delle sex worker nel nostro Paese: "Siamo a livello molto basso di protezione concreta, anche fisica e non solo di diritto e questo avviene perché non c'è una legge adatta alle situazioni che abbiamo, al tipo di lavoro e a chi lo fa. C'è una grande vulnerabilità dal punto di vista sociale ma anche fisico, di violenza". 

La prostituzione spesso intesa come un problema di ordine e sicurezza pubblica: diverse sono state le ordinanze comunali in tante città per limitare il fenomeno e spostarlo dalle strade. Ma nessuna di queste ha messo al sicuro i cittadini, in particolare coloro che lavorano con il sesso: "I sindaci hanno un problema perché ormai è diffuso il sentimento per la sicurezza pubblica dovuta alla prostituzione per strada. Lo stesso sentimento lo provano le lavoratrici. Ma gli amministratori locali non hanno strumenti e l'unica cosa che possono fare sono norme di tipo repressivo. Già alcune sono state più volte dichiarate anti-costituzionali perché la questione è prima di tutto di competenza parlamentare. Anche le ordinanze sono illegittime e quindi violano la legalità" continua Covre. 

La cronaca è piena di violenza e spesso questa viene subita dai lavoratori e dalle lavoratrici del sesso. In realtà una buona legge potrebbe tutelare tutti, sex workers comprese: "Vanno individuate delle zone e delle aree dove questo possa essere fatto e va decriminalizzato il lavoro in appartamento. Questi sarebbero dei deterrenti alle aggressioni. Perché subiamo violenze e non andiamo a denunciare. Dobbiamo fare in modo che queste persone non siano più messe in condizione di subire continuamente. Per farlo bisogna riconoscere che questo è un lavoro e un reddito". 

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