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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca

Papà in carcere e figli lontani: "Una sofferenza invisibile agli occhi"

Il distacco dai propri cari è un dolore non previsto direttamente dalla legge ma di fatto incluso nella pena. La genitorialità in carcere è un tema serio e urgente. Storie e spunti di riflessione dal dibattito "I bambini... prima" tenutosi a Rebibbia

Luca è un detenuto di Rebibbia, si commuove quando parla della figlia. Simone sconta la pena, suo figlio è disabile e incontrarsi è complicato. Gaetano vive la sua settimana nell’attesa di quella telefonata di 10 minuti con la sua bambina che vive a Pescara con la mamma. Sono storie di padri orfani di figli perché il carcere mette alla prova l’amore più importante, quello dei propri figli. “I bambini… prima”, il dibattito a porte chiuse che si è tenuto ieri a Rebibbia nel teatro della Casa Circondariale del Nuovo Complesso dell’istituto penitenziario romano, è stato incentrato sul tema delicato della paternità in carcere.

Accanto al percorso che il detenuto deve compiere per scontare la pena, un percorso complicato, faticoso e finalizzato al reinserimento sociale, c’è anche una sofferenza che lo accompagna, un dolore non previsto direttamente dalla legge ma di fatto incluso nella pena. È il distacco dai propri cari. E se sei un papà detenuto la sofferenza più grave è la separazione dal proprio figlio, soprattutto se minore d’età. Un dolore che si moltiplica nel bambino che non riesce a elaborare affettivamente la lontananza.

La genitorialità in carcere è un tema serio e urgente. Un rapporto che va tutelato, difeso, può essere potenziato solo con un sostegno multidisciplinare. Dalle istituzioni agli istituti non governativi, dagli assistenti sociali agli operatori, dagli educatori fino ai volontari. Gli ostacoli da superare: il sovraffollamento delle carceri italiane, la mancanza di personale, soprattutto la burocrazia. Ma serve anche cuore e sensibilità: “È una sofferenza nascosta, invisibile agli occhi e di cui fuori non si parla”, dice Luca, detenuto e padre di una bambina che in sei anni di reclusione ha visto solo 15 volte.

Franca Leosini madrina dell'incontro a Rebibbia

Grazie alla presenza di relatori tra i più importanti del settore si è affrontato il tema da diversi punti di vista: giuridico legale, scientifico, antropologico e umano. Il diritto all’affettività non può fermarsi davanti ai muri e alle sbarre del carcere. Franca Leosini, madrina dell’incontro, quelle mura le ha superate circa 120 volte in 24 anni con le sue telecamere per la trasmissione Storie maledette: “Un crimine non va mai giustificato, ma va interpretato”, ha detto la giornalista e conduttrice Rai. “L’errore compiuto dal padre per quanto grave possa essere può tradursi in un insegnamento al positivo da dare ai figli”.

Dalla nostra Costituzione alla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo firmata a New York nel 1989 fino a quella europea sui diritti dell’uomo, negli ultimi 70 anni sono state emanate carte, leggi, raccomandazioni. Nazionali, europee e internazionali. Il professor Marco Ruotolo, ordinario di Diritto costituzionale all’Università degli studi di Roma Tre ha ricordato le novità giuridiche come la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa a tutela dei figli delle persone detenute: “Le esigenze affettive dei detenuti devono essere considerate al pari di quelle del figlio”.

L’avvocato Simone Filippi di Antigone, l’associazione che dalla fine degli anni ’80 si batte per la tutela e le garanzie nel sistema penale, ha sottolineato gli aspetti relativi alla genitorialità dei detenuti nella recente riforma sugli istituti di pena e sul nuovo ordinamento penitenziario. Ma c’è ancora una distanza tra quello che dice la legge e la realtà delle carceri. In mezzo c’è il pantano della burocrazia che diventa un abisso.

La Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti

I bambini vengono prima, con la loro necessità di avere una frequentazione continuativa con entrambi i genitori, l’esperienza emotiva del bambino che entra in carcere per incontrare il papà, i controlli, le perquisizioni e l’ambiente del colloquio. Sono gli aspetti forse tra i più delicati che sono stati affrontati: “Favorire il mantenimento dei rapporti tra genitori detenuti e figli, salvaguardando sempre l’interesse superiore dei minorenni”, dice Lia Sacerdote. È il punto cardine del protocollo d’intesa, Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti, firmato lo scorso novembre dal Ministero della giustizia, dal Garante per l’infanzia e l’adolescenza e da Bambini senza sbarre. Il trattato prevede l’istituzione di un tavolo permanente composto dai principali attori coinvolti (istituzioni, garanti, associazioni). L’obiettivo: monitorare periodicamente l’attuazione del protocollo e misurare i risultati raggiunti.

La percentuale dei padri di Rebibbia ammonta al 50% dei detenuti. Maurizio Quilici, giornalista e Presidente dell’Istituto di studi sulla paternità, ha raccontato l’evoluzione della figura del padre: “Il ruolo del padre non deve essere secondario o subordinato a quello della madre, ma gioca allo stesso livello della mamma nella crescita del bambino”. Presenti anche il Professor Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e il professor Stefano Anastasia, Garante delle persone private della libertà per la regione Lazio. Entrambi hanno sottolineato come il tema della genitorialità sia delicato. C’è bisogno di fare un passo avanti. Potrebbero aiutare le tecnologie, prima fra tutte skype, la possibilità di mettere in comunicazione i padri con i figli attraverso la rete: “Il padre potrebbe seguire il proprio figlio a fare i compiti nel pomeriggio”, sottolinea il Professor Anastasia.

Affettività e carcere è un connubio delicato. In gioco c’è prima di tutto l’interesse del bambino. Il suo diritto all’effettività è tutelato dalle più importanti Carte nazionali e internazionali. Ma la strada è ancora lunga e non sono i bambini a doverla percorrere.

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