"Perdono il killer di mio marito": parla la vedova di un carabiniere
Si chiama Claudia Francardi e ha perso suo marito, carabiniere ucciso da un ragazzo di 19 anni. Oggi, dopo la condanna, è lei stessa a chiedere la sua riabilitazione: "Per lui chiedo giustizia, non vendetta"
Si chiama Claudia Francardi e un ragazzo di 19 anni ha ucciso suo marito, un carabiniere. Ma è stata lei stessa a lanciare un appello per il giovane killer che commise quel terribile omicidio. Lei è proprio convinta: "Temo la prigione disumana. L'isolamento e la povertà delle relazioni sociali che avrà". Lei con il tempo è diventata amica di Matteo, quel ragazzo che le uccise il marito, e anche di sua madre, Irene. Si telefonano, si aiutano, sono diventate amiche. Al punto che hanno fondato insieme un'associazione per la riabilitazione dei detenuti: AmiCainoAbele.
I FATTI - Era il 25 aprile del 2011 quando lui e un suo collega hanno fermato per strada Matteo Gorelli, che tornava da un rave party. I due militari gli fanno l'acol test e il ragazzo risulta positivo. Così iniziano i controlli ma qualcosa va storto: Antonio Santarelli e Domenico Marino rimangono a terra, dopo essere stati riempiti di botte con pugni e bastoni. L'agente Marino perderà l'occhio destro, mentre Santarelli entrerà in coma e morirà un anno dopo nell'ospedale di Imola.
Insieme a Matteo Gorelli c'erano anche altre tre persone: lui però confessa e viene portato prima in carcere e poi in un centro di riabilitazione. Ma dietro le sbarre ci torna e ci resta: il 7 dicembre 2012 il tribunale di Grosseto lo condanna all'ergastolo. Ha ammesso subito di aver perso la testa e gli stessi giudici hanno parlato di una "ferocia inaudita". L'anno dopo la Corte d'assise di Firenze ridurrà la pena a 20 anni. Così il 29 aprile del 2015, dopo che la Cassazione ha confermato la condanna, Matteo viene prelevato e portato nel carcere di San Vittore.
L'APPELLO DELLA MOGLIE E DELLA MADRE - Claudia e Irene sono convinte che Matteo sia cambiato e sono certe che questo carcere possa solo fare del male. Per questo la loro associazione ha l'intenzione di "diffondere la cultura della riconciliazione": Irene e Claudia sperano di poter aiutare e dare sostegno alle tante persone che per svariati motivi si trovano a affrontare questo dolore.
Claudia porta con sé il libro di poesie che ha scritto Matteo in questi anni, "A 20 anni tra nebbia e ossigeno", la prova che in questi anni di riabilitazione qualcosa è cambiato. Per questo Claudia non chiede vendetta ma solo giustizia e in questo carcere, in quella cella di San Vittore, tutto il lavoro che Matteo ha fatto in questi lunghi anni di processo richia di arrestarsi.
Claudia vorrebbe tanto che Matteo potesse abbracciare di nuovo sua madre, la sua amica Irene. "Siamo unite nella speranza che diventi da adulto una persona capace di onorare la memoria di Antonio, un uomo che credeva nel suo mestiere, che era al servizio degli altri" conclude Irene. "Questo sistema carcerario non offre possibilità. Che me ne faccio io della soddisfazione di saperlo recluso? A cosa serve? Non alla società. Non a lui. E a me? A me toglie solo altra dignità" conclude Claudia, che spera ancora che Matteo possa continuare il suo percorso.