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Giovedì, 28 Marzo 2024
Il caso

Trivella party in Basilicata: benvenuti nel Texas italiano

Abbiamo il petrolio, prendiamocelo. Trivellare sembra essere diventata la parola d'ordine del governo italiano. Ecco perché in Basilicata - il più grande giacimento di petrolio dell'Europa continentale - le grandi compagnie petrolifere continuano a "spadroneggiare". Contro la volontà dei cittadini. Ne parla persino il Wall Street Journal

ROMA - I paesini arroccati e le colline verdeggianti, le montagne brulle e le sorgenti d'acqua limpida. E poi i sentieri pastorali, i campi coltivati e l'aria pulita. Cammini, ti guardi intorno, respiri: in Basilicata il tempo sembra essersi fermato, con l'idillio di un paesaggio genuino e incontaminato che non ha ceduto il passo all'urbanizzazione incontrollata. Un'oasi, uno scrigno da preservare. E' davvero così? A sconfessare questa prima, superficiale, impressione c'è un piccolo grande fattore: l'oro nero. La Lucania, l'alta Val d'Agri in particolare, nel sottosuolo ne possiede in abbondanza. E allora se i paesi di poche migliaia di anime in provincia di Potenza si spopolano per la mancanza di lavoro, ecco che il territorio si popola di trivelle.

PETROLIO IN VAL D'AGRI - Gli appetiti delle grandi compagnie petrolifere, d'altronde, qui sono "saziati" da quasi trent'anni. Basti pensare che grazie alla Lucania, dove l'oro nero venne scoperto nel 1987, l'Italia è al quarto posto fra i paesi europei produttori di petrolio. La Val d'Agri, dove si concentra il bacino più importante, da sola produce l’82% del petrolio italiano e possiede il più grande giacimento di petrolio onshore (sulla terraferma) dell’Europa continentale. Le aree di estrazione sono gestite da una holding dove l'Eni ha la maggioranza del 61% e il resto (39%) è detenuto dall'inglese Shell. Non basta, evidentemente, dato che il governo italiano sta cercando di facilitare la strada alle trivellazioni, offrendo alle amministrazioni regionali e locali maggiori guadagni (le cosiddette royalties). Sperando così di superare l’opposizione che in passato ha ostacolato le operazioni di trivellazione. L’obiettivo, chiaro, emerge nel "Piano di sviluppo Val d’Agri" approvato nel gennaio 2012 in vista del raddoppio delle estrazioni delineato nel "Memorandum" firmato dall'allora ministro dello Sviluppo Corrado Passera: la produzione annuale di petrolio del Paese va duplicata, anche per tagliare i costi di importazione di energia di circa un quarto entro il 2020.

NUOVI POZZI, NUOVI OLEODOTTI - E proprio dal progetto del governo di raddoppiare la produzione petrolifera nazionale nasce il nuovo piano dell'Eni: un altro pozzo - chiamato "Pergola 1", nel comune di Marsico Nuovo - e circa 24 chilometri di oleodotti petroliferi nasceranno sul territorio a ridosso di un'area protetta, in prossimità del fiume Agri, a pochi metri dalle case e dai campi coltivati. Un'area, ancora, in cui sono presenti le più importanti "sorgenti perenni" che portano acqua fino in Campania, nonché in prossimità del sito di interesse comunitario "Monti della Maddalena" e sulla faglia sismica "Pergola-Melandro".

PETROLIO IN BASILICATA - IL NUOVO PROGETTO DELL'ENI

LE PROTESTE - Abbiamo il petrolio, prendiamocelo. Trivellare sembra essere diventata la parola d'ordine. Mentre però da una parte c’è già chi si immagina che quei 40 mila barili al giorno previsti faranno diventare Marsico Nuovo la capitale del petrolio della Val d’Agri, dall’altra parte c’è chi, come sempre, non ci sta. Per questo è nato il Comitato “No al pozzo Pergola 1", che raccoglie l'adesione di centinaia di cittadini e annuncia battaglia, visti – viene da pensare – i risultati non certo esaltanti che a Viggiano (il fulcro petrolifero della zona con il suo Centro oli) l’indotto petrolifero Eni ha portato alla comunità e al territorio sia in termini economici che in termini ambientali. "Il 12 dicembre 2013 - ci spiega Mario Colella, presidente del Comitato - l'Eni ha presentato la richiesta di Valutazione di impatto ambientale al dipartimento Ambiente della regione Basilicata". E continua: "Ora ci sono sessanta giorni di tempo per fare osservazioni e opposizioni al progetto. Ad oggi, né Regione né Comune si sono opposti. Il sindaco del nostro paese, Domenico Vita, è anzi pubblicamente a favore del nuovo pozzo. Il potere delle royalties... Pergola 1 comporterebbe uno scavo di venti metri di larghezza e quattro di profondità, creando un fitto reticolo di oleodotti collegati ai tre pozzi già esistenti a Marsico Nuovo. Tutto passerebbe sotto il fiume Agri, sotto la superstrada Fondo Val d'Agri, passando in alcuni punti a 200 metri dalle abitazioni". La superficie da espropriare è pari a 180.000 m2; circa il 30% delle superfici è costituito da fertili suoli agricoli, pascoli e boschi. I cittadini di Marsico Nuovo, poi, temono che possano verificarsi ancora episodi come quello del 25 marzo 2013, quando dai pozzi e lungo le condotte fuoriuscì idrogeno solforato.

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RISCHI IDROGEOLOGICI E SISMICI - Della vicenda si è occupato persino il Wall Street Journal, che ha definito la Basilicata come il "Texas italiano" per i suoi giacimenti di oro nero e ha denunciato il tentativo del governo italiano di accelerare sulle trivellazioni per l’estrazione di petrolio. Il professor Franco Ortolani, docente di Geologia all'università Federico II di Napoli, sta studiando la fattibilità del progetto per conto del Comitato. "Il pozzo Pergola 1 per l'estrazione di petrolio nel giacimento della Val d'Agri - ci spiega - sarebbe realizzato in territorio della Basilicata ma nel bacino idrografico del Fiume Sele, in area di massima sismicità ed epicentro del sisma del 1857. Vale a dire che eventuali sversamenti di idrocarburi in superficie sarebbero trasportati dall'acqua, in alcune ore, fino alla traversa di Persano, Oasi Wwf e punto di prelievo dell'acqua per irrigare la Piana del Sele. Eventuali sversamenti di idrocarburi verrebbero trasportati nel fiume Melandro, poi nel fiume Bianco e poi ancora nel fiume Tanagro ed infine nel Sele e alla traversa di Persano inquinando l'area fluviale protetta Sele-Tanagro".

"DANNI INCALCOLABILI" - "L'Eni definisce trascurabili gli eventuali impatti delle attività conseguenti alla perforazione di Pergola 1. Non prende nemmeno in considerazione - continua Ortolani - uno sversamento di idrocarburi in superficie, dal pozzo o dall'oleodotto. Incredibile. Quindi nessun intervento per scongiurare gli effetti di incidenti è preso in considerazione nella progettazione del pozzo Pergola 1 e del conseguente oleodotto. Ne consegue che, una volta che il pozzo entrerà in esercizio, se si dovesse verificare un incidente per cause normali o in seguito ad un terremoto, gli idrocarburi che si sverserebbero sulla superficie del suolo, oltre ad inquinare suolo e falde, sarebbero trasportati in poche ore fino agli impianti di irrigazione della Piana del Sele. Sarebbe ancora più incredibile la vicenda - ha continuato il geologo - se sarà concesso parere favorevole ad Eni sulla base di uno studio  di Via "incredibile" nel senso che l'area sembra essere un deserto per cui qualsiasi problema derivante dal petrolio non arrecherebbe danni. Pur essendo in Basilicata - ha concluso Ortolani - il pozzo Pergola 1 potrebbe arrecare danni incalcolabili all'economia e all'ambiente della Campania. E di questi impatti non si dice una parola". Ecco perché anche i sindaci del Vallo di Diano, zona della Campania confinante col potentino, sono preoccupati. "Sanno bene che il giacimento di petrolio continua anche lì - ammette Colella - e ci prendono come esempio negativo: guardano a noi e pensano a loro tra 15 o forse 20 anni".

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