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Venerdì, 29 Marzo 2024
A casa di Mina Welby

15 anni senza Piergiorgio Welby: "Medici ancora restii a praticare l'eutanasia, hanno paura"

Mina Welby ha aperto le porte di casa a Today.it. In una lunga intervista, ha raccontato la vita col marito e gli anni della lotta per l'eutanasia legale

Sono passati quindici anni dalla morte di Piergiorgio Welby. Da quella volta la stanza di casa non è mai cambiata, se non per la disposizione del letto in cui Piergiorgio Welby stesso esalò l’ultimo respiro. Sono ancora tutti lì i suoi quadri, i suoi disegni, le poesie. C’è tutta la vita di un uomo che ancora oggi incarna la lotta per il diritto all’eutanasia. Semmai, inchiodati al muro o appiccicati sugli armadi in legno, si sono aggiunte sempre più cose col passare del tempo: adesivi, volantini, manifesti di tutte le battaglie radicali che hanno continuato a camminare sulle gambe di Mina Welby (moglie di Piergiorgio). Fino ad oggi, quando l’associazione Luca Coscioni, di cui la vedova Welby è co-presidente, lotta ancora per portare nelle urne del Paese un referendum per la depenalizzazione dell’eutanasia e in Parlamento un disegno di legge sul suicidio assistito. Oggi Mina Welby guarda indietro a questi quindici anni. Non si pente di nulla e si dice sicura di non aver mai provato nè paura né esitazione, neppure per un momento. Neppure quando era in attesa della sentenza del processo in cui era imputata per aver accompagnato Davide Trentini in Svizzera a morire. Oggi quelle battaglie continuano per la speranza di malati come Mario, il 43enne marchigiano tetraplegico che ha chiesto di potersi suicidare in modo assistito. Contro di lui c’è un sistema sanitario, lo ha denunciato attraverso un esposto alla Procura, che non è accogliente verso chi vuole mettere un punto a quella che ormai, per loro, non è più degna di essere chiamata vita. Prova a spiegare perché Mina Welby, che ha incontrato Today.it direttamente a casa sua.

"Dovrebbero essere i medici stessi, dovrebbe essere proprio l’ordine dei medici ad indirizzare e far sì che medici stessi siano formati nell’aiuto al suicidio perché abbiamo la legge per le cure palliative, ma io mi accorgo che molti medici di medicina generale non sanno nemmeno che sono loro a dover prescrivere cure palliative ad un paziente grave. Tante volte dicono che non servono. Ma come? Servono perché tolgono dolore e aiutano a sopportare anche l’ansia e sono previste dalla legge 38 del 2010. Poi naturalmente, la malattia va avanti, le cure palliative non guariscono ma danno sollievo fino alla fine. Se poi questa fine non arriva mai, se una persona lo chiede, lì si deve intervenire per aiutarla a morire. Questo devono capire i medici. Dovrebbe essere proprio il medico palliativista ad avere questo occhio e vicinanza al malato. Questo non significa uccidere, ma proteggere una persona. Quando una vita non è più tale, come dice il malato stesso, addormentiamolo. Se si riesce a farlo morire con la sedazione profonda e continua allora bene. Ma a volte per questo è troppo presto e allora lì è il medico a dover capire, se lo chiede il paziente, se può essere arrivato il momento di iniettarli un farmaco per aiutarlo a morire".   

C’è dunque una sorta di reticenza da parte dei medici in generale e dell’ordine?
"Credo proprio di sì"

Come se lo spiega?
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Me lo spiego un po’ con la condizione dello Stato italiano, molto cattolico. Anche se le famiglie lo sono meno, almeno tante, sono rimasti con una certa paura di far male e di far morire. C’è una certa non accettazione di questo. Se pensiamo all’interruzione delle terapie, ci sono ancora i preti, i vescovi, il Papa che tirano in ballo la dignità del malato. Ma il malato ha la sua dignità, siamo noi, che siamo esterni, a doverla rispettare. Non rispettarla è contro la dignità del malato e quando il malato dice basta, il medico dovrebbe capire cosa fare".

Cosa dovrebbero fare i medici che non fanno quindi?
"Io credo che dovrebbero fare dei corsi, guardando all’estero. In Olanda hanno cominciato da zero e hanno allargato. I medici potrebbero confrontarsi con i colleghi e cominciare a fare qualcosa in più. Ma in Italia c’è qualcuno che già lo fa, ne sono sicura". 

Cioè qualcuno che aiuta le persone a morire?
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Sì, non conosco casi specifici, per cui non posso dire che quel medico o quell’altro lo fa. Ma sono sicura che ci sono medici che aiutano le persone a morire e magari si fanno anche pagare". 

Sicuramente i medici non sono aiutati dalla normativa perché in Aula si deve ancora discutere un Ddl molto contestato sul suicidio assistito. Cosa ne pensa?
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Penso che si debbano fare degli emendamenti perché questa proposta ha solo il suicidio assistito. Hanno preso la sentenza Cappato della Corte Costituzionale e l’hanno replicata. Ma non tutti i malati sono dj Fabo, non tutti hanno un ventilatore su necessità. Non tutti i malati hanno le stesse caratteristiche. Ci sono quelli che non riescono nemmeno a prendere un bicchiere e bere la medicina letale o pigiare un bottoncino per iniettarsi la sostanza. Questi malati però esistono e hanno bisogno dell’aiuto diretto di un medico".

Eppure le destre si oppongono perché temono che questa legge sia un liberi tutti per incentivare al suicidio persone che, al contrario, andrebbero aiutate ad affrontare le difficoltà e con cure palliative.
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Sì, questo lo mettono sempre al primo punto, ma non potrà essere perché oggi ci sono persone anziane che muoiono anche per conto loro, mentre con la legge non basterà aver dato il consenso preventivamente, dovrà dirlo in modo consapevole poco prima del suicidio assistito o l’eutanasia. Gli viene di nuovo chiesto se lo vuole o no". 

Ma il solo fatto di accedere con maggiore facilità, non rischia di essere un incentivo?
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Ma non credo sarà facile accedere perché ci devono essere diverse prerogative. Deve avere malattia gravissima e non avere altre possibilità perché di solito i malati gravi vengono sempre accompagnati da cure palliative e, a volte non lo chiedono neanche più perché, se ben fatte, le persone non chiedono di morire". 

Ecco allora, proprio per questo, lei non crede ci sia un problema con il lavoro di prevenzione del suicidio, anche con il rinforzo delle cure palliative?
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Sì, si deve prevenire dando alle persone le buone cure perché, fin da principio, il malato viene curato. Ma va sostenuto anche socialmente ed economicamente perché ci sono anche famiglie che non possono permettersi tutte le cure".

Quindi servono più cure palliative? 
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Assolutamente sì. Non si potrà prevenire tutto. Ma quando ci sono gravi malattie fisiche, ti puoi curare con le cure palliative fino ad un certo punto. Poi ci sono anche malattie incurabili e inguaribili. Poi ci sono migliaia di malattie rare di cui si sa poco, di cui non si sa né come prevenire né come curare". 

Che ne pensa del caso di Mario, è il Piergiorgio Welby di oggi?
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Sì, è il nuovo Piergiorgio Welby ma per l’eutanasia perché non credo abbia un ventilatore automatico e quindi potrebbe soltanto rinunciare al cibo. Se ha nutrizione artificiale potrebbe chiudere quella ma è una tortura e non può morire così perché è una tortura e non è dignitoso della vita. Lui andrebbe in Svizzera, ma preferirebbe morire a casa, vicino a sua madre. L’azienda sanitaria delle Marche si dia una mossa". 

  
 


 

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